lunedì 26 gennaio 2009

27 Gennaio Una Memoria che non insegna


27 Gennaio UNA RICORRENZA

perchè domani è così importante?
tu mi chiedi tranquillo
legittimato dalla tua giovane vita...
certo, tu non conosci
la storia che ti ha preceduto
e m'incalzi, vuoi sapere...
ebbene sì, andrò indietro nel tempo
e ti parlerò dei crimini di una stirpe
affamata di guerra e di potere...
una genìa mai doma
che si disseta col sangue di altri uomini
ebrei o di pelle rossa, comunque diversi
quel tanto per considerarli prede...

e fu già una carneficina immonda
sotto le insegne di un barbaro dogma
la cui fine s'inneggia domani, ragazzo...
ma forse il tempo dell'odio feroce
non è ancora tramontato
ed ancora e sempre lo sterminio
si avvolge d'infimi pretesti
e in bandiere ammantate d'ipocrisia

sotto le insegne dell'atroce doppia esse
troppo a lungo subita
ma con fierezza debellata

ma, non solo gli scheletri anneriti
nei campi di Auschwitz e Mathausen
vanno onorati
nel ricordo di uno scempio indelebile...
altre volte lo sterminio si è avvolto
d'infimi pretesti,
che si manifestano beffardi
ad ogni occasione propizia
per scatenare massacri,
sganciare bombe
erigere Muri d'odio,
ingabbiare interi popoli,
invadere Nazioni da depredare
e sempre con bandiere ammantate
di falsa democrazia
e illusioni di libero arbitrio...
ecco, questa è la falsità
che devi scoprire e smascherare
se vorrai poter sfoggiare
la tua coscienza linda, ragazzo
così da trovare altri, sinceri
con cui procedere consapevole
sulle strade del mondo

dai Genchi!

domenica 11 gennaio 2009

già 10 anni da quando te ne sei andato Fabrizio


Due invocazioni e un atto d'accusa

Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.

Dell'inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.

Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.

Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.

Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?

Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.

Uomini, poiché all'ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.

In fondo se ci penso bene, parte della mia vita è legata a Genova. Come territorio per aver svernato parecchi anni a Santa Margherita e aver frequentato scuola a Chiavari. Come cultura per il grande feeling con i cantautori della scuola genovese. Primo fra tutti Gino Paoli e di seguito Luigi Tenco e Fabrizio De Andrè. Tutti amati e assorbiti grazie a quegli ascolti profondi, interiormente sofferti, circondati io e Giulio, nella sua stanza-impianto stereofonico, da una sequenza infinita di emozioni, a volume altissimo, pazzesco. Impianto che si era costruito da solo, far da sé elettronico-hifi, di grande talento da autodidatta,(solo qualche lezione con la scuola per corrispondenza RadioElettra) che mi lasciava sempre ammirato e sbigottito. La sua amicizia, esclusiva, mi permetteva di godere di un ascolto eccezionale. Di giorno, nelle ore possibili ammesse dal vicinato, immersi nella tensione violenta di musica e versi che ci frastornavano, impossibile parlarci, solo gli sguardi di muta consapevolezza. Sprofondavamo nella nostra personale egoistica tristezza masochistica assaporando le parole di “non andare via” e di “vivere ancora”. Entrambi vittime ignote di un mondo già molto ostile, che ricacciandoci ogni giorno di più nel nostro angolino di sofferenza, a causa del nostro “problema”, ci insegnava ad odiarlo. Il mondo e il genere umano, tutto troppo falso, cattivo,vuoto, ipocrita, povero di qualità, insensibile. In una parola non ci meritavano, noi che eravamo su vette eccelse di sensibilità e di sofferenza autogratificante. Solo Gino Paoli, poi Tenco e infine Fabrizio De Andrè erano degni della nostra attenzione, ed erano i nostri miti e punti di riferimento. Costanti approdi, sicuri e palpitanti nei lunghi momenti in cui la crisi scoppiava improvvisa e impudente, inesorabile nella sua sequenza, a volte contemporanea, ma più spesso innescata per contagio da uno all’altro, fino all’acme della chiusura a riccio nella propria disperazione sorda, a cui faceva seguito il richiamo imperioso a sprofondare nell’ascolto della musica catartica.

Poi ci fu Tenco e quella notte di gennaio 1967 in cui Luigi la fece finita, concretizzando lui nei fatti, la nostra ipotesi che nei momenti più bui ci si affacciava come eroica soluzione. Il suicidio, un tema che ogni tanto affrontavamo con mille disquisizioni, che ci affascinava e nel contempo, senza confessarcelo, ci terrorizzava. Un finale da film nella nostra vita così poco spettacolare, così nell’ombra, segnata dall’indifferenza con cui gli altri, il prossimo, i familiari vivevano tranquillamente al nostro fianco, senza accorgersi di niente. Del resto, era la conclusione autoconfortante, nessuno poteva capire il nostro dramma.

Il mio, quello di essere incapace con le donne, imbranato, tagliato fuori da ogni possibile rapporto, vergine e disperato per non aver neanche mai baciato, atterrito all’idea di non saper come fare, perennemente pronto ad innamorarmi o infatuarmi di qualcuna, impossibile, irraggiungibile, perché quasi sempre già impegnata. Lui, Giulio, con il dramma di avere l’interesse sessuale deviato, di essere attratto dai maschietti, malgrado lui fosse nella sua virile beltà, oggetto di spasimo da parte di ogni ragazza che venisse a tiro. Era dovuto al fatto di aver trascorso molti anni chiuso in una comunità-ospedale, gli anni della pubertà, per un problema di malformazione ossea congenita, che gli aveva procurato, dopo infinite operazioni, un accorciamento lieve, ma percettibile di una gamba, e sul piano emotivo un’attrazione puramente estetica verso giovani efebi vagamente effeminati. La menomazione, pur sopportandola con grande orgoglio, era ulteriore motivo di sofferenza.

Il suicidio di Tenco quindi, e la nostra stupida rabbia, il giorno dopo, la muta solidarietà con quel gesto supremo che altro non era che uno schiaffo in faccia al mondo meschino che non l’aveva accolto come avrebbe dovuto. E nella musica assordante in cui c’isolavamo, ora avevano lungo spazio le parole “mi sono innamorato di te perché non avevo nulla da fare…” Di Luigi amavamo molto anche “ come mi vedono gli altri” e “ragazzo mio” e in ogni sua canzone, anche la più leggera, cercavamo i segni della sua mirabile sensibilità, finchè venne quella perfetta dedica di Fabrizio che è “preghiera in gennaio” Signori benpensanti/spero non vi dispiaccia/se in cielo, in mezzo ai Santi,/Dio, fra le sue braccia,/soffocherà il singhiozzo/di quelle labbra smorte,che all'odio e all'ignoranza/preferirono la morte”. Malgrado l’accenno a Dio, che già futuri atei cominciavamo a non sopportare, questo testo divenne un preciso tassello nel nostro percorso evolutivo fra le note e i versi, che non ci avrebbero mai abbandonato.

Ma l’acme di questo percorso, quando già avevamo incominciato a porci su di un piano più propositivo e meno introverso, cercando motivi e occasioni di uscire dal nostro guscio per scontrarci duramente con la realtà di possibili nuovi rapporti, fu l’ascolto, la prima volta, del disco “tutti morimmo a stento”. Ricordo che Giulio mi chiamò, come era usuale fare, da casa sua, fuori sulla ringhiera, il che voleva dire che era solo e si poteva dare fiato all’impianto. Mi precipitai, ma appena entrato nella stanza dell’oblio, così come la definivo, Giulio mi fece un cenno di silenzio con un dito sulle labbra, tanto che pensai che ci fosse ancora in casa sua madre. Invece lui con la solita calma e precisione fece partire il giradischi, su cui già c’era un longplay, e mentre si lasciava cadere nella sua poltrona preferita, anche perché era l’unica mentre a me toccava un puff scomodissimo a cui preferivo sdraiarmi sul tappeto, la musica cominciò ad invadere l’atmosfera salendo gradatamente con un motivo dolcissimo fino a quando la voce inconfondibile di Fabrizio iniziò a recitare una di quelle sue poesie in rima che ti obbligavano ad un’immediata riflessione. E stava dicendo che aveva licenziato Dio, inizio molto promettente, più che confermato dal dipanarsi del testo bellissimo. Inutile dire che quel disco lo ascoltammo in un profondo silenzio, scambiandoci le solite occhiate di compiacimento e di partecipazione. Ogni pezzo risultava più sorprendente del precedente, la musica e l’arrangiamento sembravano di un altro pianeta, i testi scavavano nell’intimo dei problemi più accesi che in quel tempo si potevano affrontare, una vera bomba!

Alla fine, quando la puntina sul giradischi iniziò a gracchiare perché non riusciva a bloccarsi, piccolo problema che Giulio, con suo gran cruccio, non riusciva a risolvere, restammo per lungo tempo ammutoliti, nel gran silenzio che era piombato intorno a noi, scioccati come pugili suonati da una gragnuola di colpi terrificanti.

Ancora oggi, malgrado De Andrè abbia poi composto pezzi notevoli, tutti fantastici, importanti, significativi, indimenticabili, quando ascolto “tutti morimmo a stento” mi riprende il ricordo di quelle sensazioni indescrivibili della prima volta.



giovedì 8 gennaio 2009

Israele nuovo nazismo


Sabato 10 gennaio dalle ore 17

MANIFESTAZIONE A SOSTEGNO DEL POPOLO PALESTINESE

NOI STIAMO CON I CARNEFICI

L’ultimo atto dei “festeggiamenti” per il sessantesimo anniversario della nascita dello Stato d’Israele è il tentativo del governo sionista di infliggere al popolo palestinese una punizione durissima per aver osato resistere in questi anni al disegno di cancellazione del loro diritto alla terra, alla pace, alla vita. Israele sferra il proprio attacco contro la prigione a cielo aperto di Gaza con la complicità della quasi totalità delle borghesie nazionali arabe, dell’Europa, degli USA.

La maggior parte della stampa e dei mezzi d’informazione di tutto il mondo continua a ripetere la linea di Tel Aviv, ovvero il “diritto” di Israele a “difendersi”. Ma chi è che deve difendersi se in 24 ore Israele ha assassinato centinaia di palestinesi e nel giro di pochi giorni il bilancio dei morti è salito fino a 700 e chissà quanti altri ancora moriranno nei prossimi, data la situazione di emergenza sanitaria e di isolamento di Gaza e dei territori palestinesi occupati.

In Italia governo, opposizione, il presidente sionista della Repubblica, i TG, i quotidiani… tutti hanno espresso il proprio incondizionato appoggio ad Israele e la propria condanna al “terrorismo” di Hamas. I palestinesi uccisi e mutilati dalla pioggia di fuoco dell’aviazione israeliana sarebbero i carnefici, gli ebrei occupanti le vittime. Ebbene, se così è, allora noi stiamo con i carnefici.

Già all’inizio dell’anno gli israeliani (sostenuti dagli USA) avevano cercato di innescare e fomentare la guerra civile nel tentativo di distruggere Hamas. Poi, durante i mesi di tregua hanno ripetutamente cercato di alzare la tensione per suscitare la reazione palestinese; come riporta “Il Sole 24 ore” già nel novembre scorso, ad esempio, 4 palestinesi erano stati uccisi da un raid dell’aviazione israeliana. Infine, Tel Aviv rompe gli indugi e il 27 dicembre inizia questa operazione di vero e proprio sterminio di massa con l’obbiettivo di terrorizzare la popolazione e spingerla contro Hamas, per provocare il rovesciamento “manu militari” dell’attuale leadership palestinese e il ritorno di quella venduta e corrotta che circonda il presidente filo-israeliano e filo-americano dei palestinesi, Abu Mazen.

In un’area geografica come il Medio Oriente, al centro degli interessi dell’imperialismo americano ed europeo, ma anche di borghesie arabe che non amano Hamas e a cui non interessa nulla della sorte dei palestinesi, per questo popolo la situazione diventa ogni anno, ogni mese, ogni giorno… sempre più difficile.

Si spendono lacrime a fiumi per i “poveri” monaci tibetani oppressi (il cui leader, che tutti fanno a gara ad omaggiare, dai presidenti dei paesi imperialisti alle star di Hollywood, faceva lo spione per conto della CIA) ma per i palestinesi le uniche parole che si trovano sono sempre le stesse: terroristi.

Ebbene, per quanto possa oggi contare, per quanto ininfluente possa essere la nostra voce, vogliamo comunque alzarla per salutare l’eroica resistenza e il martirio del popolo palestinese, ancora una volta massacrato sotto gli occhi del mondo. Lottiamo al vostro fianco, fratelli e sorelle, compagni e compagne di Gaza, affinché la vostra liberazione nazionale sia una tappa della liberazione di tutti i popoli dall’oppressione imperialista. Noi faremo la nostra parte contro l’imperialismo di casa nostra.