Il Web, una
trappola terribile.
Ho visto in
tv Presa diretta del 6/02/2017. Il
tema: la patologia del web, i giovani schiavi o vittime di internet.
Il
servizio, ben fatto, esamina prima il fenomeno dei popolari, cioè quei giovani
più intraprendenti o smaliziati, che si sono inventati una presenza sulla rete,
più o meno utile e intelligente, ma capace di creare un enorme seguito di followers, più invasati e fragili dei
fans dei Beatles d’antica memoria. In alcuni casi, i siti e i video in rete,
rasentano addirittura il fenomeno, cosiddetto virale, con milioni di visualizzazioni.
Partendo
dal famosissimo “andiamo a comandare”
dell’astuto Fabio Rovazzi, che ha totalizzato più di cento milioni di clic, in
tutto il mondo, (e di gente rincoglionita), si assiste a svariati esempi di
video che catturano l’interesse degli utenti del web. Incredibilmente, più il video è superficiale e
privo di contenuti, ma accattivante, più fa proseliti. Ci sono individui,
maschi e femmine, che sono riusciti a crearsi un vero e proprio lavoro,
comunque un impegno, postando sui social network, come Facebook, la propria
intimità, immagini, per lo più, delle proprie attività, con l’obiettivo di
condividerle il più possibile con chi passa molto tempo sulla rete. La massima
aspirazione di questi attivisti del web è poter condividere finanche le
emozioni. Mi chiedo con sarcasmo se qualcuno non arrivi a mostrarsi pure quando
è seduto sul water.
Chi riesce
ad avere un seguito importante diventa anche appetibile per trasmettere
messaggi pubblicitari, più o meno subliminali, e quindi viene cercato dalle
Aziende che hanno ben compreso e fatto proprio il linguaggio e i codici di
comportamento della generazione moderna. Così, volente o no, anche quel maneggione
informatico, definito youtuber
diventa un granello dell’ingranaggio economico che finisce per stritolare o
assimilare una quantità inimmaginabile di giovani. Si parla in termini di
milioni, non certo di minoranze. E sono nate nuove aziende che scandagliano il
web in cerca di nuovi utili “talenti”, capaci di affascinare produttivamente.
Sfiora il 90% il numero di giovani tra i 9 e 18 anni che sono su Facebook,
facili prede della “nuova frontiera della pubblicità”.
Ci sono
pure i selfiekillers che postano le
loro imprese, vere e proprie sfide di situazioni estreme, inerpicati su alte
strutture, a cavalcioni di travi dei più alti grattacieli o su picchi
pericolosi, comunque in condizioni di serio pericolo, ed infatti ogni anno si
contano a decine le vittime, lo scorso anno ben 73!
Infine c’è
il capitolo dei videogiochi, apparentemente meno cruento, se non si arriva alla
completa immedesimazione nei personaggi fantastici proposti in rete, per cui il
gioco, totalizzante, può legare un giovane al proprio computer
per più di 10 ore al giorno, per tutti i giorni, fino a farlo diventare
dipendente come da una droga. Si sono visti ragazzi e ragazze, mascherati
secondo le sembianze dei loro eroi preferiti, assumere totalmente quelle identità,
e sentirsi gratificati per essere riconosciuti come tali. Praticamente una vera
e propria spersonalizzazione e assunzione di identità virtuale, qualcosa molto
vicino alla schizofrenia.
La cosa più
tragica è vedere come ci siano pure genitori inorgogliti dalle capacità
premature dei propri figli, che già a 3-4 anni sanno smanettare sul pc, meglio
di loro; genitori che non si rendono conto della trappola terribile, di come
così inizi per i loro figli un processo mentale di avviamento ad un mondo
virtuale, dal
quale potrebbero non uscirne più.
Tutto
questo, che l’inchiesta illustra nella prima parte, è il concetto di
popolarità, esseri famosi in rete, che per qualcuno è business e gratificazione,
ma per molti altri diventa motivo di crisi e di malattia, anche se l’incipit è
sempre da cercarsi nell’incapacità di affrontare la realtà, di cui se ne ha una
gran paura. In questo processo, spesso è anche l’assenza di riferimento dei
genitori, che in qualche caso, specie per i più piccoli preferiscono vederli
impegnati, tranquilli, sul loro pc
piuttosto che in giro per casa a creare problemi o fare domande difficili.
Oltre agli
afflitti da psicopatologie del web, che nei casi più gravi arrivano al cosiddetto
ritiro sociale, chiudendosi in casa,
nella propria stanza, senza più uscirne per giorni infiniti (ma qualcuno che
passa loro il cibo c’è!), ci sono quelli che al confronto con i popolari si sentono inadeguati, e cadono
in depressione.
Poi,
incredibile da immaginare, ci sono anche coloro che amano farsi del male,
ovviamente in video pubblici. C’è chi si tagliuzza, sempre più in profondità,
braccia e gambe; chi si fa gettare addosso acqua bollente con dolorosissime
ustioni, nel più assurdo trionfo del masochismo da spettacolo.
In
definitiva la patologia che colpisce questi giovani, che incapaci o timorosi di
affrontare la realtà, si rifugiano in quella virtuale, apparentemente più
facile, è dovuta a vari motivi di sofferenza, che comportano crollo degli ideali,
mancanza di fiducia nel proprio futuro, nei genitori e negli amici, e insomma
una specie di complesso d’inferiorità.
Complesso
di cui io, nella mia adolescenza, ho sofferto, ma che non essendo negli anni 60
ancora in auge il mondo globale di internet, mi ha permesso di uscirne,
soffrendo sì, pensando pure al suicidio, ma in definitiva grazie alla costante
presenza concreta degli altri. Di questo, purtroppo oggi i giovani depressi non
possono godere, essendo venuta meno la presenza fisica degli amici, perlopiù
presenti solo virtualmente e superficialmente sul web.
In
conclusione, rinnovando i complimenti per il programma dell’ottimo Riccardo
Iacona, che puntualmente rivela le brutture e nefandezze di questo mondo
globale seriamente ammalato, che mentre da una parte erige muri contro la
libera circolazione degli esseri umani, dall’altra favorisce la circolazione e
diffusione, dagli schermi grandi e piccoli, di germi micidiali per le menti
delle nuove generazioni, non posso che concludere che al peggio non c’è limite.
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