mercoledì 28 agosto 2002

racconti

 concorsoLibreria Modus Vivendi -pubblicato su Trova Palermo 2003

 

Input del... Karma

C’è chi sostiene che ogni persona quando viene al mondo sia inevitabilmente sotto l’influsso di una buona o cattiva stella. Un po’ come credono alcune popolazioni primitive, con diverse sfumature, che ognuno nasca con precisi segni premonitori di quello che sarà il proprio percorso-destino. Se qualcosa di vero c’è in queste identificazioni casuali capaci di segnare il nostro karma, allora io credo di poterne individuare almeno tre per quanto mi riguarda. Ovviamente della mia nascita non ricordo granché, ma in seguito ho saputo di alcuni fatti, diventati quasi leggende nella mia cerchia di amici e parenti, che potrebbero ascriversi appunto come segni premonitori.
Primo fatto e relative implicazioni premonitrici. Senza dubbio sono nato a Varese nel 1943, oggi città riccaleghista, allora zona di sfollati da Milano. I miei erano finiti in quel di Cernobbio, ridente cittadina sul lago ecc. oggi sede di Grandi Convegni Confindustriali e Governativi (e già questo comincia a significare qualcosa) dunque dicevo, sono nato nel senso proprio di essere partorito, nell’ Ospedale di Varese in un’ora imprecisata del 16 Aprile 1943, appena 9 giorni prima di quello che diventerà, due anni dopo, storico per la Liberazione (e anche questo può voler dire qualcosa). Ma dell’ora se n’è persa traccia in quanto…, e qui devo accennare alla prima leggenda: In quei giorni la città era sotto bombardamento e mia madre, insieme ad altre ricoverate, a un certo punto fu trasferita da un’ala all’altra dell’ospedale, giusto in tempo! perché da lì a poco proprio quella parte fu colpita disastrosamente. (Se non è culo questo!)   Così, sono potuto venire al mondo io, ma nel bailamme generale neppure mia madre fu in grado di memorizzare l’ora esatta.
E questo comporta, ahimè, che non possa godere di un Oroscopo completo, mancandomi l’Ascendente. Testardo come un Ariete lo sono sicuramente, ma ingenuo e boccalone come cosa? Comunque nella città del Terribile Hulk Umberto solo anagraficamente può essere ubicato il luogo della mia nascita perché il concepimento (con il cuore e non solo) dovette avvenire tra Milano e la Sicilia. Probabilmente a Palermo, dove allora bazzicava mio padre in qualità di Ispettore della Germani-Scappino (sì proprio quelli del famoso nodo, e sarà forse per questo che non amo molto la cravatta). Circa nove mesi prima che la moglie di mio padre diventasse anche mia madre, infatti, la coppia aveva fatto un lungo giro turistico dell’isola. Un viaggio che lei poi ricorderà spesso con sospiri struggenti. Tutto questo per dire che nelle mie vene scorre sangue misto, più siculoterrone che lombardoleghista, motivo, probabilmente, che ha spinto i miei passi in un lungo vagabondare, e che dopo un’adolescenza irrequieta al Nord e varie tappe al Sud ha finito per farmi approdare, quale emigrato al contrario, alla “tranquilla” terra di Turiddu. Scorrazzando per ogni angolo dell’isola e passando attraverso inenarrabili esperienze, dalle lotte dei terremotati del Belice all’impegno militante degli anni rivoluzionari, sono giunto infine a Palermo (il richiamo del sangue, come volevasi dimostrare) dove in rapida sequenza ho trovato l’Amore (sì quello con la A maiuscola) poi la casa il lavoro e in definitiva mi sono sistemato.
Secondo fatto, seconda leggenda. Il 16 Aprile 1943 non è solo fatidico perché sono nato io, bensì per il fatto straordinario, scoperto negli anni caldi della Contestazione, che in quello stesso giorno, anche qui non si conosce l’ora esatta, un certo Albert Hoffman nei laboratori della Sandoz di Basilea si dice abbia scoperto o meglio messo a punto la formula della dietilammide dell’acido lisergico, più nota come LSD (e non so se mi spiego!). In effetti, quando venni a sapere di questa incredibile coincidenza temporale io avevo già cominciato, per i fatti miei, a fare piacevoli esperimenti di tipo psichedelico, così che indubbiamente mi sentii fortemente motivato e giustificato da quel segno del destino. E da allora cominciai a non perdere occasione per, usando una metafora, rompere le palle a tutti declamando questo mio eccezionale gemellaggio idealfilosoficoscientifico.
Questo secondo evento in realtà ha influito più sul periodo dell’adolescenza, che nel mio caso si è protratta fino a molti anni dopo il servizio militare, ma ancora prima si può collocare il terzo evento, negli anni di un’infanzia banale e piatta, se si eccettua, appunto, per l’increscioso episodio. Tutto sommato si trattò semplicemente di un tentativo di autoeducazione sessuale, anche se mia madre si ostinò sempre a definirlo diversamente. La faccenda andò così: un giorno che ero malato, a letto con la febbre, venne a trovarmi una mia amichetta del cortile, la Mariella, per farmi compagnia. Dopo i soliti stupidi convenevoli fra ragazzini timidi ma curiosi ci eravamo messi a giocare con il Colorado, gioco antesignano di quelli intelligenti, che permetteva di realizzare composizioni variopinte infilando piccoli stecchi di legno con la capocchia di vari colori in appositi stencil traforati. Non so se esista ancora, ma era bellissimo, e noi spiriti creativi c’inventammo una gustosissima variazione. In pratica, giovani avidi dei misteri del sesso, avevamo cominciato a scrutarci per vedere concretamente le differenze tra “il mio coso e la tua cosa”, ed eravamo arrivati a un’esplorazione più approfondita infilandoci a vicenda (per me impresa più complicata) qualche stecchino colorato, così, inconsciamente forse, anche per abbellire le nostre cosiddette vergogne. Ed ecco che improvvisamente si spalancò la porta e con una specie di grido strozzato irruppe mia madre, che paonazza e del tutto indiscreta domandò: -Si può sapere che state facendo voi due?-. Al che io, non so come prontissimo, mi sentii rispondere: -Niente, stiamo giocando con il Colorado.- Ma fu solo un attimo perché subito dopo ricordo di essermi vergognato come un ladro, diventando certamente rossofuoco, mentre Mariella fuggiva via piangendo inseguita dalle urla esagerate e poco educative di una mancata suocera. Conseguenza immediata fu un enorme imbarazzo, crescente insieme alla febbre che divenne da cavallo, ma ben più gravi furono gli effetti successivi, se è vero che la mia vita sessuale, ahimè, finì per essere tardiva e piena di casini. Inoltre, mai ebbi modo di spiegare a mia madre quanto può essere deleterio troncare bruscamente sul nascere una sana precoce smania di apprendimento, specialmente quando gli unici insegnamenti sull’argomento sesso si limitavano a un minaccioso avvertimento ogni volta che mi chiudevo in bagno per troppo tempo: -ESCI DA LI’! SMETTILA! GUARDA CHE SI DIVENTA CIECHI!-
In seguito a quell’episodio mi sono chiesto spesso: “che fine avrà fatto Mariella?” Suora o pornostar? Chissà! Magari semplicemente psicologadivorziata o madreresponsabile con negozio di giocattoli.
Ecco raccontati i tre eventi più significativi, ma ce ne sarebbe un quarto, pensandoci bene, che pure deve avere avuto una grande influenza sulla mia vita. Fu in occasione della Prima Comunione: andavo a catechismo nell’Oratorio dei Frati Francescani e già soffrivo come un ateo incallito per quelle noiose formulette ripetitive impartite con dolceseverità da Padre Casto. Allora, l’unica distrazione, con gli altri compagnucci, era cercare d’immaginare dove avrebbe potuto finire quella sua lunghissima barba bianca nei vari momenti topici della giornata, per esempio quando doveva defecare (ma allora non ci si esprimeva così). Eh! Quanto avremmo pagato tutti per vederlo nell’atto di calpestarla o inzaccherarla almeno una volta! Ma la sofferenza maggiore era provocata dal mio compagno di banco. Costui lavorava molto di dita, se le infilava in continuazione dappertutto: nel naso, nelle orecchie, in bocca, nell’ombelico, sotto le ascelle e da ogni posto ne annusava con gran gusto i diversi odori. Quando, al sommo della voluttà, se le infilava in culo, allora bontà sua, decideva che ne dovessi godere anch’io, e proditoriamente senza che mai riuscissi a scansarmi, me le schiaffava sotto il naso con un sibilante: -Annusa il sacro profumo!- (Chissà che fine avrà fatto anche lui. Commerciante di profumi o seguace di Padre Pio?) Ad ogni modo il supplizio finì e fummo pronti per il GrandeGiorno. Tutta la solita rituale cerimonia e poi finalmente via! Per una festa piena di dolci e di regali. Ebbene, io che cosa ti combino? Per tutto il tragitto dalla chiesa al locale del ricevimento, accompagnato da alcuni miei cuginetti, tutti più piccoli d’età che pendevano dalle mie labbra come da un novello Messia, li deliziai con una quantità forsennata di barzellette spinte, cosiddette sporche. Senza che mi rendessi conto di fare peccato. E anche questo è sicuramente un segno: dal momento che non fui capace di restare per più di 5 minuti in quella GraziadiDio che tutta la parentela intorno commossa mi invidiava, non sarà stato, forse, proprio allora che si aprì la mia strada verso l’ateismo più tenace?
Eh sì, decisamente non si può che concludere dando ragione a quei popoli e a quelle filosofie che sostengono: Ognuno nasce e cresce sotto l’influsso di segni-eventi ben riconoscibili, che oggi potremmo definire dei precisi input del …Karma.



                                                 






pubblicato antologia "è solo poesia" GDS edizioni -dicembre 2010

 Sesto senso


Quel giorno stavo malissimo. Avevo appena visto quella che credevo fosse la mia ragazza baciarsi appassionatamente nel buio di un androne, con un altro. A casa si era consumato l’ennesimo scazzo con mio padre, ogni giorno più freddo e taciturno, da quando eravamo rimasti soli a Milano, con il nostro rapporto sempre più difficile. Mia madre e mio fratello se la sguazzavano in quel di S. Margherita Ligure, non senza scordarsi di farci quotidiane telefonate con la raccomandazione di andare d’accordo, per non farli stare troppo in pensiero! Io, dal canto mio, ero appena tornato dal servizio militare e avevo avuto la sorpresa di non trovare più la mia Impresa. Cioè, l’Impresa Edile dove ero impiegato, dove credevo di ritrovare il mio posto, date le sperticate assicurazioni in proposito del Mio Datore di Lavoro, (all’atto della partenza, con mille salamelecchi, per quel dovere che mi faceva tanto onore). Semplicemente non c’era più. Aveva chiuso i battenti: La crisi. Figuriamoci la mia! Erano giorni ormai che rispondevo a tutte le inserzioni possibili di offerte lavoro, ma più che colloqui, test cretini e bravo, bravo, le faremo sapere non si concretizzava nulla. Solo il rimbrotto, sempre meno soft, di mio padre. A tutto questo bisogna aggiungere che quell’estate in città il caldo era soffocante.
      Eppure, quel giorno, tra un tentativo e l’altro di trovare la cosa giusta da fare, dopo aver inutilmente cercato qualcuno degli amici più fidati, sempre più annoiato e sfiduciato fu certamente il “mio sesto senso” a guidarmi in via Manzoni dalle parti della Libreria Feltrinelli. Ma che ci entro a fare…  mi stavo dicendo combattuto se varcare o no la soglia, dal momento che non ho una lira, ed ecco che arriva una splendida fanciulla in minigonna mozzafiato, che si attarda un attimo prima di entrare, e incredibile!, mi guarda e mi sorride. Un brivido lungo la schiena, che mi abbia scambiato per un altro? comunque non ci penso troppo e come in trance mi affretto ad entrare sulla scia di quell’incredibile apparizione.
      La libreria è piuttosto affollata, molti giovani fanno capannello in un angolo, mi avvicino, scorgo la mia musa, mi sforzo di fissarla per catturarne l’attenzione, ma quella non mi degna più di uno sguardo, sarà la solita femminista che si diverte a provocare cerco di consolarmi, mentre il mio interesse cade sull’individuo, non giovanissimo, che sembra essere al centro della curiosità generale. Mi sembra un viso conosciuto, ma solo dopo molti sforzi di memoria e quando finalmente uno lo chiama Luciano, realizzo che si tratta di Luciano Bianciardi. Ho appena letto “la vita agra” e l’ho trovato un libro eccezionale, superstimolante almeno quanto “On the road” di Kerouac.
      Resto, affascinato, ad ascoltare i dialoghi tra lo scrittore e alcuni giovani, i più arditi, che gli pongono un sacco di domande, anche la bella che ormai mi lascia indifferente, gli si rivolge, e da come parla mi sembra una tremenda snob. O.K.Non è tipo per me concludo, non è il caso di provarci. (Autoscusa meschina e puerile!) Comunque l’attenzione è tutta per lo scrittore, mi affascina e m’intimidisce. Naturalmente non riesco a vincere l’emozione per cercare di dirgli qualcosa, e quando tutto finisce, mi ritrovo per strada, ancora più incazzato e deluso. Non mi è riuscito di attaccare discorso né con la femmina, né con lo scrittore. Sono proprio una frana!
     Tempo dopo, ormai ho dimenticato l’episodio, sono anch’io a S. Margherita, in vacanza, (aimè, da un lungo periodo di vacanza) e mi capita sotto gli occhi un articolo di giornale che parla di Luciano Bianciardi, di qualche polemica con suoi editori, e vengo a sapere che si trova a Rapallo. Da quel momento comincio a pensare all’incredibile opportunità che potrei avere, vista la vicinanza delle due località liguri, se solo riuscissi a trovare il coraggio. Così, arrovellandomi in spossanti tentennamenti, alla fine riesco ad ottenere, tramite la Casa Editrice, il suo numero telefonico, e un giorno, chissàcome, trovo la forza di comporre quel numero: mi risponde una voce femminile roca, sensuale, e a fatica riesco a chiedere di lui.
     Poi tutto si svolge, come in un sogno, in modo del tutto facile e lineare. Quando gli dico che vorrei conoscerlo e che sto a Santa, m’invita semplicemente a prendere un caffè insieme, al suo bar preferito.
     Caffè Biancaneve, sul lungomare di Rapallo. Mi aspetta seduto a un tavolino, grande emozione, blocco in gola, poi piano piano non ci sono più problemi. Sa come mettermi a mio agio. Mi fa domande intelligenti, mi racconta dei fatti suoi, con semplicità, senza pudori. Dopo quel primo incontro, ci siamo visti altre volte, mi ha raccontato moltissimo di sé e dei suoi crucci, mi ha dato stimoli fondamentali per la mia passione, allora solo accennata, per la scrittura e la letteratura. E’ stato un inimitabile maestro di vita. Purtroppo se n’è andato troppo presto. Ricordo che mentre mi saziavo delle sue parole, lui beveva, con la massima noncuranza e strafottenza, quel dolce veleno, che di lì a poco ci avrebbe privato del suo grande talento.


123people risultato per http://www.interrete.it/gianluigi.redaelli.htm
http://www.interrete.it/pdf/raccontisenso2009.pdf




primo premio concorso Interrete "senso" 2009 (cliccare sul titolo)

Il grande Sogno

-Fermatela! Non deve uscire!- Il grido concitato e rabbioso scoppia alle sue spalle quando ormai ha oltrepassato quasi completamente la FasciadiControllo. Ancora pochi metri saltando su quel terreno plastificato irto di sensori invisibili ma che Lei può annullare grazie al LaserDetector, la grande invenzione di Matheus, e finalmente è Fuori nel GrandeVuoto, nella LuceNaturale, tante volte invocata e immaginata.!
L’aria intorno, fresca frizzante, è azzurrognola e l’avvolge tutta con una sensazione nuova, mai provata. Si ferma, improvvisamente conscia della sua grande impresa, si volta e vede alle sue spalle l’enorme mole della città, della sua GrandeCappadiProtezione che la isola da tutto il resto, ma che ormai non la riguarda più. Ora è nell’altro mondo, nella ParteProibita, la cosiddetta TerradiNessuno, di cui hanno così tanto parlato, fantasticato Lei e il suo GruppodiStudio.
”Ormai il dado è tratto” pensa, utilizzando l’espressione antica trovata nella Storia AntePrimoMillennio, tutto quello che ha scoperto e immaginato finalmente troverà una conferma, un riscontro. Si sente fremere d’eccitazione e di determinazione. Lei così precisa e scrupolosa nelle sue ricerche, così avida di scoperte eccezionali, intuisce di essere alle soglie di un’avventura assai ardita, senza la più pallida idea di come possa finire, con il rischio che possa essere addirittura senza ritorno. Ma sa che un’altra occasione difficilmente potrebbe ancora capitarle.
Quando Matheus le aveva confidato il risultato dei suoi esperimenti e la quasi certa efficacia del suo Detector a RaggiLaser per neutralizzare i sensori invisibili, si era immediatamente offerta di accompagnarlo nei suoi tentativi di verifica. Poi il tremendo incidente che l’aveva colpito determinando la sua impossibilità a continuare gli esperimenti, quindi la sua decisione a proseguire da sola, fino al giorno in cui avvicinandosi alla FasciadiControllo e constatando l’efficacia del Detector decide senza indugi di lanciarsi nel varco spalancato che la proietta Fuori.
Infinite volte, nelle riunioni, avevano discusso della fattibilità dell’Impresa, ormai la chiamavano semplicemente così, avevano vagliato le opportunità di avvicinarsi alla FasciadiControllo e di riuscire a superarla, cosa che a memoria d’uomo non era mai riuscita a nessuno, chiunque ci aveva provato era sempre stato scoperto e poi punito, anche con l’Eliminazione. Poi, la realizzazione del Detector e la verifica della sua efficacia aveva avvicinato notevolmente il pensiero di tutti all’idea che si potesse farcela, e la più determinata era stata sempre Lei. Tutti i ma e le perplessità non sono stati sufficienti a farla desistere dal suo proposito. E’ diventata una fissazione, spesso avvalorata dal Sogno ricorrente, e deve assolutamente scoprire se tutto quello che ha trovato nei FilesPrimitivi abbia un minimo d’attendibilità.
Ora che incredibilmente è Fuori, dove, secondo lo studio dei Files erano avvenuti, (o continuavano ad avvenire?) quei fatti incomprensibili, finalmente potrà appurare in qualche modo la Verità. E’ sola ormai, con la sua voglia assatanata di verifica, anche per smentire tutte le false teorie del Potere e con il solo conforto del Sogno che le ha indicato il cammino.
Ed ecco, il primo elemento della Visione: un immenso prato verde, d’erba fresca tenera, non sintetica, ”si spezza…si strappa dalla base…è viva?” Indugia davanti al suo interrogativo, si siede in mezzo a quel verde frusciante, sente improvvisamente caldo, molto caldo, deve togliersi la DermoTuta che mai, prima d’ora le aveva dato tanto fastidio, si spoglia, rimane nuda come se fosse in un BoxWash, e avverte una strana sensazione sulla pelle, come di una carezza umida.
Sono quei fili lunghi e flessibili che si strusciano contro il suo corpo, che l’avvolgono con un fremito sconosciuto. Un contatto morbido le titilla dolcemente la sensibilità dei piedi, fra quei fili d’erba spuntano pianticelle con rametti che sembrano dita, avverte la sensazione come di una mano che le afferra le caviglie, di più mani che salgono con una carezza decisa lungo i polpacci, lungo le gambe. E’ come un curioso pizzicore elettrico che sale lentamente, l’avvolge con un’invisibile pressione, solletica delicatamente l’articolazione delle ginocchia e poi s‘insinua audace tra la leggera peluria là in mezzo alle cosce.
Sta provando sensazioni nuove, mai si era sentita così eccitata, neppure quando Matheus riusciva a dare il meglio di sé nella HardCabine. E’ turbata, sente il suo corpo abbandonarsi a quel piacere che dolcemente cresce e la pervade tutta, ma ritrova qualcosa del Sogno, sa che deve riuscire a sottrarsi perchè la Visione indicava uno stato destinato a restare perennemente incompiuto, uno stato di piacere insoddisfatto. E Lei teme quel momento, ha paura che si ripeta anche qui ciò che le è accaduto troppe volte, ed ecco, infatti, che lentamente le pianticine cominciano a spegnersi e ad afflosciarsi per rimanere tutte accartocciate ed inerti come stupidi fantasmi.
Rimane un attimo scomposta e interdetta a meditare sul nervosismo di cui si sente preda come un’amante insoddisfatta poi, rammentando che il Sogno le ha promesso ben altro, si alza decisa a proseguire. “Non posso fermarmi alle prime impressioni negative” si dice risoluta, mentre scuote i lunghi capelli che niente e nessuno è mai riuscito a farle tagliare e di cui ora per la prima volta ne percepisce veramente l’identità orgogliosa. Riprende a camminare, ed ecco comincia ad udire una voce lontana, sembra un canto melodioso verso il quale sente una forte attrazione.
Il paesaggio è cambiato, alti alberi le si parano dinnanzi ed ora che corre, quasi vola rasentando il suolo, a velocità sempre maggiore, sospinta da una forza invisibile e attratta dal canto melodioso (“come quell’Ulisse dalle sirene”-pensa), riesce a scansarli solo all’ultimo momento. Alcuni hanno poderose radici esterne che formano come dei labirinti, altri presentano rigogliose fronde multicolori, altri ancora con fusti altissimi e rami obliqui sembrano uniti come in una catena. Sono tutti strani, bizzarri per Lei che conosce solo quelli sintetici, realizzabili in forme e fogge a piacere, e che ora si rende pienamente conto di quanto siano falsi e banali.
Oltre quella moltitudine di piante si aprono ampi spazi di terreno, coperto qua e là, da fiori multicolori e da alte spighe gialle, ed in mezzo vede muoversi tranquillamente, liberi, vari animali. Alcuni li conosce solo attraverso le Effigi sulle confezioni delle Cibarie, (che devono indicare con precisione da dove vengono prodotte), e nel caso di animali si sapeva della loro esistenza ma chiusi nelle BatterieAsetticheProduttive, accessibili solo a pochi addetti. Ora invece li vede proprio da vicino: quelle enormi Bovine che con il muso contro il suolo sembra stiano mangiando erba e piante.
Anche di questo aveva trovato tracce nei documenti: che una volta erano esistite le Fattorie, dove gli uomini vivevano per curare gli animali dai quali ricavavano prodotti naturali quali latte, uova e che sembra mangiassero addirittura la loro stessa carne dopo averli ammazzati.
Viene distratta dai suoi pensieri da un improvviso lampo di luce accecante al quale segue un rombo cupo che rintrona nell’aria a più riprese, ed ecco, incredibile! dall’alto cadono infinite gocce d’acqua, (“la Pioggia”, si trova a definire con stupore) mentre il suo corpo nudo va bagnandosi, anche senza essere in un BoxWash. Allora avverte un brivido di freddo e ripensa pentita alla DermoTuta che ha abbandonato, chissà dove.
Si guarda in giro, aguzzando la vista per trovare qualche soluzione e ad un tratto vede qualcosa che sembra una Hause, ma stranissima. Si avvicina e nota che è di forma quadrata senza tetto a cupola, e non ha le pareti lisce e lucide, non è metallica, ma al tatto risulta ruvida e piena d’ asperità. Entra, attraverso un vano privo di pannelli di chiusura, e si trova in una camera quadrata con molti oggetti sconosciuti che sporgono dalle pareti, senza esservi incassati dentro protetti da PlastoSchermi. Addirittura si possono subito toccare.
C’è una specie di Box lungo e rettangolare, scuro, fatto di un materiale che non conosce, duro ma caldo, pieno fitto di piccoli fori; la parte superiore è ribaltabile e dentro è vuoto, appunto come un BoxContenitore. Vede strane cose ammucchiate lì dentro, poi è attratta da un PianoDisco che sta appoggiato a quattro gambe, direttamente sul pavimento e gli sovviene un nome che aveva memorizzato nelle sue ricerche, deve trattarsi di un Tavolo, sul quale anticamente gli uomini facevano di tutto, come mangiare leggere scrivere.
Incredibile! I suoi studi e le sue ricerche trovano una puntuale conferma, lì nel MondoProibito, come se quel modo di vivere fosse ancora in uso.
Curiosando intorno scopre ancora oggetti e risposte alle domande che si è posta molte volte. Trova anche una sorta di CopriTuta di pelle pelosa, con peli lunghi e chiari, che s’infila addosso accorgendosi quasi subito di quanto tenga caldo, poi di nuovo viene catturata dal canto melodioso, che finito il rumore picchiettante della pioggia è tornato a farsi sentire nitidamente. Esce nell’aria tersa, coperta per metà da quello strano indumento, e di nuovo trascinata inesorabilmente da quel suono melodioso, si lancia in una folle corsa nella direzione da cui proviene.
Ad un tratto le sembra di scorgere in lontananza la figura di un uomo, o qualcosa che gli assomiglia, coperto da indumenti come quello che indossa anche Lei, che lo fa sembrare simile ad un animale. La figura corre veloce e scompare presto alla sua vista in mezzo ad una gran quantità di alberi, molto vicini (“un bosco”, realizza, ma non ricorda di avere avuto questa Visione). Le sembra una novità assoluta, ma poiché la figura correva nella sua stessa direzione, “Chissà forse potrei ritrovarla” si dice con l’idea di un presentimento.
Più s’avvicina alla fonte del canto, più si sente preda di quella malìa, e aumenta la sua eccitazione, diversa da quella provata prima, meno violenta ma in continua ascesa, la penetra nei pori e insieme alle visioni del Sogno le dà la certezza di un imminente grande avvenimento.
Ora percorre una bianca strada sinuosa che attraversa paesaggi sempre diversi, ad ogni curva si aprono alla sua vista immagini fantastiche, alcune già viste nel Sogno, altre nuove, inaspettate: oasi di verde intenso, giardini sfumati di mille colori, specchi d’acqua argentati, filari di piante fiorite. Il canto è sempre più nitido, più vicino, sembra proprio di una voce umana ma è inintelligibile, non le riesce di decifrare le parole.
D’improvviso il colore azzurrognolo dell’aria intorno si tramuta in una delicata fantasia di rosa e arancio e insieme al canto ode altri suoni, di diverse tonalità, e ancora una volta le viene in aiuto la sua prodigiosa capacità di memorizzare tutto ciò che ha appreso, registrandolo con precisi riferimenti: (“deve trattarsi del famoso cinguettio degli uccelli” pensa). Si ferma in ascolto, il cuore le batte forte, si sente pervasa da quell’atmosfera musicale, senza dubbio deve essere entrata nell’ AreaArmonica, tanto citata nelle antiche documentazioni, ma che il VerticediCultura ne ha sempre negato l’esistenza. NozioniProibite, le hanno sempre detto, archiviate nei FilesPrimitivi come testimonianze di fantasie letterarie e niente più.
Ma Lei, appassionandosi ai suoi studi e alle sue ricerche, aveva finito per capire che si trattava di brandelli di Verità che loro vogliono nascondere e cancellare, ed ora ne ha sempre di più la conferma. Da sotto i suoi piedi viene un continuo ronzio e ricomincia ad avvertire una sensazione di contatto frusciante. Si trova ora immersa in un tappeto di muschio rosato, qua e là spuntano cespugli con foglioline rosse che sembrano animate. Ne sente la vellicante carezza sulla pelle nuda dei piedi e delle gambe, e di nuovo come già era avvenuto si sente pervadere da intensi fremiti di piacere.
Si accorge di avere le guance infuocate, come quando da ragazzina aveva dovuto affrontare il GiudizioComplessivo, ma ora è un’eccitazione erotica e non un nervosismo di paura a dominarla. Sente l’impulso di sdraiarsi e come appoggia le ginocchia sul muschio il sangue prende a scorrerle velocemente nelle vene e si sente ghermire da mille abbracci: ogni parte del suo corpo è esplorato, graffiato, punto ma non prova dolore. E’ un continuo totale solletico, intimo, profondo, piacevolissimo.
Si getta in preda ad una pazza smania in mezzo alle macchie rosarancio e si lascia avviluppare dalle foglioline animate, girandosi continuamente su se stessa per offrirsi completamente a quel piacere intenso, si strofina mugulando i capezzoli induriti contro i minuscoli rametti, sente il godimento espandersi in tutti i suoi organi.
Non sente più cantare fuori, ora le sgorga direttamente dentro una musica struggente ed è immersa in una luce vivida abbagliante che non le permette di vedere i contorni delle cose intorno. Si sente completamente in balia di quelle sensazioni, è dimentica delle umane percezioni, avverte come un graduale cambiamento del suo essere, percepisce un nuovo ritmo delle proprie pulsazioni.
Una colonna di fuoco le brucia la schiena mentre presenze tattili la frugano ovunque, cercano in profondità senza alcun ritegno. Ad un tratto una grande ombra la copre, ed ecco le sembra di intravedere i contorni di una figura umana sopra di Lei. Ha l’impressione di essere stretta in un abbraccio forte, di essere schiacciata da un peso caldo. Comprende che sta arrivando all’atto conclusivo, quello stesso troppe volte solo sfiorato senza averlo mai realmente assaporato, che ora attende ed invoca con una smania sconosciuta.
E’ sdraiata su quel soffice animato tappeto, sollecitata fino ad un punto mai prima raggiunto, ad un culmine solo fantasticato, quando infine la catarsi si compie: ed è una penetrazione acuta ma dolcissima, intima che le strappa grida rauche e la fa esplodere in ondate di piacere sconvolgente.
Così anche l’ultima Visione del Sogno si è avverata, ha raggiunto la méta del suo Viaggio, ha trovato la Verità, la sua verità di donna. Per la prima volta nella vita ha provato ciò che una SocietàAsettica di un Futuro NonAuspicabile le ha negato: l’Orgasmo.

antologia Logos - Giulio Perrone Editore -maggio 2006

L’Uomo Alto


       - Mamma, mamma, arriva!- e il ragazzino della salumeria all’angolo della strada lo vide entrare
come tutte le sere, puntualmente un po’ prima della chiusura. Sempre grigio, sempre serio e tanto alto. Da poco più di un mese aveva fatto la sua apparizione nel quartiere e qualcuno aveva pensato che fosse un giocatore di pallacanestro. In realtà il fisico non appariva un granché atletico: piuttosto magro con il viso scavato e le spalle ossute che tendevano il tessuto della camicia in maniera curiosa, disegnando un piano con le estremità rialzate e puntute, facendolo assomigliare ad una sorta di gigantesca gruccia. La gente, infatti, diceva: -Ecco che arriva l’attaccapanni!- oppure Ecco l’Asceta!-
 L’uomo, metodico all’esagerazione, entrava nel negozio e ormai non aveva neppure bisogno di aprire bocca, dal momento che aveva da sempre comprato le stesse cose, tutti  lo sapevano: una pagnotta tonda da mezzo chilo di pane, due etti di formaggio, brie o gorgonzola al mascarpone ( era l’unica digressione possibile anche in relazione alla disponibilità del negoziante), un cartoccio di latte da mezzo litro e la solita bottiglia di Nero d’Avola, sempre della stessa marca siciliana, in carattere con quella sua personalità quasi mistica. Qualcuno commentava: -Però, una al giorno!…una bella media! …e tutto da solo!- E sul fatto che fosse solo c’erano le ampie garanzie della portiera dello stabile dove abitava -Mai nessuno che viene a cercarlo, mai visto qualcuno entrare da lui. Mai una donna. E’ proprio solo!-
 Ed era proprio così, quando rientrava nel suo appartamento, angusto, che sembrava diventarlo ogni giorno di più, specialmente per quelle porte basse che lo costringevano ad una continua ginnastica di collo, l’uomo si ritrovava sempre così maledettamente solo, se si eccettua per quel piccolo batuffolo grigio che gli correva incontro miagolando, per strusciarsi contro i suoi pantaloni, là in fondo alle sue lunghe gambe.  –Sì, sì  buono  dopo  ecco   un momento…-bofonchiava dirigendosi in cucina, dove per prima cosa doveva pensare al vino: da un chiodo alla parete prendeva un grosso cavatappi, quindi stappava la bottiglia, riempiva un capace bicchiere e beveva in rapidi sorsi tutto il contenuto.
Solo allora si chinava per raccogliere il gattino da terra e sorreggendolo con la mano sinistra, si metteva ad accarezzarlo con l’altra. Mani grandi, il micetto quasi ci scompariva mentre si abbandonava a quella carezza delicata, finchè improvvisamente, prese da un raptus incontenibile, quelle mani aumentavano la stretta e il fru fru di piacere si trasformava in un acuto miagolio di sofferenza. Subito scuotendosi come fosse stato in trance, si affrettava a rimetterlo sul pavimento, poi quasi a voler farsi perdonare provvedeva a riempire di latte la scodellina del micio, che non si faceva certo pregare per gradire. Continuamente, giorno dopo giorno si ripeteva la stessa scena, tutto avveniva come in un film visto con il videoregistratore. Ogni sera quel povero micio passava dalle effusioni al rischio di morte.
            Subito dopo, l’uomo ripresosi, si sedeva al tavolo e consumava il suo pasto, sempre molto lentamente, e innaffiandolo, come si dice, generosamente. Il vino era ottimo, certamente, ma il bere per lui non era solo una questione di piacere e in ogni caso non smetteva fintanto che non arrivava quel particolare momento, non solo di ebbrezza, ma soprattutto di saturazione. A quel punto si alzava, prendeva la bottiglia, nella quale comunque ne restava una certa quantità, e l’andava a posizionare sul ripiano di marmo di una vecchia credenza, dove ne erano allineate altre, della stessa marca, una accanto all’altra. Erano disposte in file parallele, tutte non completamente vuote, affiancate in ordine decrescente, secondo la quantità di liquido che ognuna ancora conteneva. Così, le ultime erano un poco più vuote delle precedenti. Ogni volta che accostava la nuova bottiglia e osservava che la quantità rimasta era sempre meno il suo viso assumeva un’espressione via via più dubbiosa. Poi però, come per scacciare un pensiero molesto, schiaffeggiava l’aria con una mano e si scuoteva tutto illuminandosi di un rapido sorriso, quindi si muoveva dirigendosi nell’altra stanza.
Un poco più ampia della cucina presentava pochi mobili, ma una parete laterale era quasi interamente occupata da un curioso divano, con una tappezzeria a fiori. In realtà ciò che colpiva era più che altro quello che stava sopra il divano. A prima vista sembravano persone, figure vestite con colori sgargianti, appoggiate alla spalliera, quasi afflosciate. In realtà, osservando meglio, si trattava di manichini. Manichini o bambole di gomma erano comunque figure di donna, di sembianze diverse. C’era la bionda con capelli lunghi e lisci; la bruna con caschetto alla Valentina; una rossa con boccoli e riccioloni alla Rita Hayworth ; poi c’era la “grassa” con un grembiulone da massaia; un’altra aveva un aspetto molto giovanile, sbarbina in minigonna mozzafiato; un’altra ancora con una scollatura vertiginosa mostrava un bel seno abbondante. In tutto, una decina di manichini “viventi”, particolarissimi, fedelissimi, che rappresentavano un ricco campionario di caratteristiche femminili, anche se piuttosto da cliché, se ne stavano seduti su quel divano come in attesa di qualcosa.
 Ed ecco, infatti,  puntuale l’uomo avanza nella stanza, aziona una specie di telecomando e mentre magicamente una musica si diffonde nell’aria, si avvicina al divano e con un profondo inchino, con il rischio di spezzarsi in due, si rivolge ad uno di quei simulacri di donna con un filo di voce:
-Signora permette questo ballo?- e così dicendo afferra la dama prescelta, strappandola dal divano, e abbracciatala stretta si lancia in un ballo scatenato. Le note inconfondibili del Bolero di Ravel gli danno il tempo di quel ritmo ossessivo, sempre crescente, e lui felice, stretto alla sua silenziosa compagna, danza come invasato, senza curarsi dello stile, senza che nessuno possa criticarlo, fino al parossismo finale. Allora lascia cadere, abbandonandola al suo destino, la docile dama che si 3 pagaffloscia inanimata sul pavimento, e a sua volta esausto ma appagato si getta su una grande poltrona, lasciandosi andare con le membra rilassate e gambe e braccia a penzoloni.
Era un rito che si ripeteva sempre uguale, solo variava la “donna” che poteva liberamente scegliere dal suo personale “harem”, senza il rischio che qualcuna potesse opporgli un rifiuto. L’ebbrezza alcolica, il ballo sfrenato, la musica tutto contribuiva a fargli raggiungere una specie d’orgasmo, ma ciò che lo inquietava da qualche tempo era l’impressione che ogni volta si sentiva sempre più eccitato e poi sempre più distrutto. Addirittura ultimamente aveva cominciato ad avere difficoltà nell’addormentarsi, perché non appena chiudeva gli occhi, gli girava tutto intorno, come se si trovasse su un ottovolante. Ad ogni modo l’importante era arrivare alla mattina seguente quando il rito della sua vita aveva finalmente il compimento tanto sperato: la misurazione.
 Si metteva, tutto nudo, contro una parete bianca sulla quale spiccavano vari segni, e con una specie di asta lunga, avente un piano scorrevole, (uno strumento di sua costruzione date le dimensioni) procedeva a misurare la sua altezza. Anche quella mattina notò con profonda soddisfazione che il punto attuale era un po’ più basso di quello del giorno precedente. Sulla parete alcuni segni erano posti più in alto dell’ultimo, ciò stava a significare che aveva raggiunto anche un’altezza ben superiore a quanto misurava ora. “Già”pensò compiaciuto continuando ad osservare l’ultimo segno, “quel Nero d’Avola è proprio miracoloso!” E con la mente ritornò a quel giorno di qualche mese prima, quando con terrore si era sorpreso a “crescere”: Già di suo era stato sempre alto, ma quando si accorse che per una misteriosa sindrome, forse dopo quella visita alla Centrale Nucleare, ogni giorno la sua altezza aumentava di quasi un centimetro, la sua vita era totalmente cambiata: Problemi con l’abbigliamento, aveva raggiunto anche i 2 e trenta!, problemi affettivi, le donne non ne volevano più sapere di lui, problemi con il lavoro; così aveva deciso di cambiare città. Poi si era messo a fare ricerche per trovare un sistema, un antidoto che bloccasse la sua continua crescita. Aveva provato di tutto, studiato ogni possibile alchimia di erboristeria avanzata, assurde pratiche da stregone, finché un giorno, per caso, si accorse che quell’ottimo vino nero siciliano aveva il potere di influire sul fenomeno.
 Quel nettare proveniente da una terra che amava, pur non conoscendola, attraverso i racconti del padre, oltre ad essere squisito produceva anche quel beneficio. Dapprima gradualmente, poi via via aumentando la dose giornaliera il processo di crescita si era arrestato, e poi finalmente aveva cominciato a regredire.
La dose!”Improvviso un pensiero gli attraversò la mente.“Già, ma non ci sarà il rischio che dovendo aumentare ogni giorno la dose, possa finire un giorno alcolizzato?”
Il dubbio cominciò a perseguitare l’Uomo Alto.

antologia premio Salotto Letterario- marzo 2005


ABUSO DI POTERE

Palermo, un giorno qualunque, come tanti fino alle 18 circa quando è diventato improvvisamente una giornata particolare. La giornata del mio incontro con il vigile “bastardo”.
I fatti: Percorro con la mia auto Via Belgio proveniente dall’incrocio con via Strasburgo, in direzione svincolo/cavalcavia per l’autostrada. Traffico lentissimo, intenso, a singhiozzo, più del solito, perché poi si scoprirà che c’è un vigile a “dirigerlo”. Appena superata via Lussemburgo adocchio l’insegna di un negozio di ferramenta, ricordo che devo fare un rapido acquisto e decido improvvisamente di fermarmi (ahimè!) perché vedo uno spazio possibile di fianco al marciapiede. Parcheggio quindi (non in seconda o terza fila come ormai è la prassi a Palermo) accodandomi ad altre auto in sosta (che scoprirò in seguito, tutte in zona rimozione) in uno spazio alla fine del marciapiede ad angolo con la via Lussemburgo che è a senso unico da via Belgio, quindi la mia auto non può dare alcun fastidio se non due ruote appena appena sulle strisce pedonali. Un’inezia, per le regole flessibili di questa città levantina. Valutato quindi, com’è mia abitudine, di non arrecare alcun intralcio al traffico, (spesso per non voler parcheggiare in seconda fila mi faccio giri su giri pur di trovare un posto decente, ma questo nessuno lo sa!) scendo dall’auto e mi avvio verso il negozio.
A questo punto comincia il dramma kafkiano o la sceneggiata napoletana, secondo i punti di vista.
Il vigile, che avevo intravisto in mezzo al traffico e che mi aveva fatto esclamare fra me e me:
“Ah ecco perché c’è sto casino!”- a quanto pare, repentino come un falco, abbandona il suo posto e gridando, non si sa bene a chi. – E’ SUA QUELL’AUTO!!!!- si muove, così mi avvisano poi alcune persone davanti al negozio, perché io ignaro non mi ero accorto di nulla, in direzione appunto della mia auto. Finalmente, compresa la gravità della situazione mi precipito verso il solerte Tutore In Divisa, che mi accorgo essere incredibilmente capellone, quindi penso – “Uno con cui si potrà ragionare”- e gli chiedo con molta tranquillità:
 -Scusi ma lei ce l’ha con la mia auto?-
Quello per tutta risposta mentre già sta scrivendo sul suo modulo giallo: - Non lo vede?-
-Sì che lo vedo, appunto …perché ? Non è che sia messa così male…-
Capelli fluenti, occhi fissi sul foglietto, penna che sta trascrivendo il numero di targa, mi sibila un:
--Ah no?- poi sempre senza guardarmi: -Io l’ho chiamata più di una volta e lei non mi ha neppure risposto, ora le faccio la multa!- Allibito, sinceramente allibito, cerco di giustificarmi:
 -Ma… io non avevo capito che si rivolgesse a me. Non mi sembrava di aver parcheggiato tanto male…- Sorrido nervosamente, ma sono calmo, educato, paziente. Il solerte tutore non replica.
 -Scusi, abbia pazienza, possiamo ragionare un attimo…se vuole la sposto..anche se mi sembra non intralci niente, per pochi minuti poi..-
-Ormai…- Si limita a dire con, mi sembra, un sottile ghigno e gli occhi sempre fissi sul foglietto, che poi stacca e senza neanche darmelo lo mette direttamente sotto il tergicristallo del lunotto posteriore. Poi come se niente fosse, soddisfatto come una iena si avvia di nuovo verso il centro dell’incrocio. Io sempre più allibito e sull’orlo di un’incipiente incazzatura, lo seguo cercando di tenere il tono della voce moderato.
-Ma scusi, mi ha fatto la multa così, senza darmi la possibilità di …ragionare..-
L’individuo si rivela assolutamente MONOLITICO, totalmente impermeabile ad ogni tentativo di ragionamento.Alla faccia dei capelli lunghi!
-Si allontani, vada sul marciapiede!- mi dice con voce sostenuta, per la prima volta guardandomi, anche se di sbieco.
-Senta, ma vuole ragionare un attimo, che fastidio dà l’auto là.. per pochi minuti.. devo fare solo un acquisto.. velocissimo…-io non demordo, ormai l’incazzatura è arrivata e sono lanciato verso uno stato furibondo di “non conciliazione.”
-LE HO DETTO DI SPOSTARSI!- Si mette a gridare senza pudore mentre gesticola in mezzo al traffico, grottesco pupazzo.
- MA NON PUO’COMPORTARSI COSI’! Vuole ragionare un momento con me… se è in grado di ragionare…- Ormai è ira che sta montando pericolosamente.
-COS’HA DETTO? Se ne vada che è meglio!- Faccia livida, tutt’altro che incline alla bonarietà. Una brutta faccia, butterata, da magnaccia.
-Ah! Sì, ALLORA VOGLIO SAPERE IL SUO NOME!- Agitando il foglietto della multa, ormai siamo alla sfida aperta, non ci sono più spazi di trattativa, raddrizzo le spalle, cerco di assumere un atteggiamento fiero: -NOME COGNOME, MATRICOLA TUTTO!- Pensando di potermi così accontentare, in modo idiota, di questa minima rivalsa, che mi permetta di conoscere il suo nome, che già mi appresto ad odiare spudoratamente.
-Allora le devo fare il verbale.. un momento che chiamo il collega..- E si attacca al telefono portatile in dotazione per ben altri scopi, più seri.
Si sposti sul marciapiede. Ora che viene il mio collega l’accontento subito-. Faccia sempre più odiosa, sorrisino a mezze labbra, sotto quella cascata di capelli mal portati.
-“Ma… una volta, ai miei tempi, portare i capelli lunghi era sinonimo di apertura mentale, di anticonformismo... Comincio ad argomentare a voce alta- Ma questo qui è  uno stronzo incredibile.. cose da pazzi.. “-Intanto ritorno verso il negozio dove fuori si è radunato un gruppetto di persone che sta commentando quanto succede. Con le mani unite vado facendo gesti a significare mute domande, a chiedere possibili spiegazioni. Qualcuno dice:-Quello è proprio una bestia!- Un altro mi apostrofa teneramente: -E’ andato ad incocciare in uno difficile. Quello è sempre così. Non c’è niente da fare, questa poi è tutta zona rimozione.-
-Ma lo vedete che assurdità… Non dà alcun fastidio la macchina messa là! Per un attimo.. in una città dove si parcheggia da schifodove ognuno fa quello che vuole-Mentre mi affanno a cercare un po’ di comprensione mi avvisano che il mio uomo, ottenuto il cambio da un collega, si sta avvicinando di nuovo alla mia auto.
-Allora, favorisca Patente Libretto e Assicurazione!- Mi apostrofa imperioso con sempre la stessa faccia di culo.
-Addirittura, e perché?- Di nuovo sinceramente sorpreso
-Se le devo fare il Verbale mi deve favorire Patente Libretto e Assicurazione- Stavolta il mezzo sorriso è diventato intero e la faccia è di fetente carogna. Ora i capelli lunghi mi sembrano pure ingrasciati, molto zozzi. Provvedo a dargli i documenti e mentre lui li esamina non posso esimermi dal dire:
-Mi spiace per lei ma non troverà nulla a cui attaccarsi, sono perfettamente in regola- Poi non riuscendo a frenare il moto d’ira - Se c’è qualcosa d’irregolare è proprio lei e il suo comportamento provocatorio-
-Stia attento a quello che dice!- Questa volta perdendo il suo aplomb e guardandomi fisso negli occhi.
-Perchè che fa mi porta in galera per Vilipendio? Non basta indossare una divisa per fare il prepotente. Voi dovreste essere più elastici e non esasperare il cittadino!- Così dicendo, a voce sempre più alta, drammatizzando, mi rivolgo ai passanti e alle auto che scorrono di fianco. Molti guardano incuriositi, alcuni scrollano il capo, altri sembrano giustamente indignati, chissà forse silenziosamente parteggiano per me, povero cristo sotto la mannaia del famigerato inflessibile castigatore di turno. Il quale dal canto suo, tutto preso a compilare l’impegnativo verbale, ogni tanto mi grida.
-LA SMETTA DI GESTICOLARE!-
-IO GESTICOLO QUANTO MI PARE! Lei continui a fare il Suo Dovere, del resto io ho commesso una gravissima infrazione. GUARDATE! GUARDATE! COME HO PARCHEGGIATO!- Poi colpito da un’improvvisa folgorazione
-E QUELLE AUTO QUI DAVANTI NON SONO TUTTE IN ZONA RIMOZIONE! QUELLE PERCHE’ NON LE MULTA?-
-Lei non si preoccupi degli altri!-
Sempre più esasperato, sempre più gesticolando, sempre più rivolto al pubblico:
-CERTO! IO DEVO ESSERE STANGATO! PERCHE’ NON VA A DARE LA MULTA A TUTTI QUELLI CHE LASCIANO LE AUTO IN TRE QUATTRO FILE CREANDO INGORGHI SPAVENTOSI?!-
-La smetta di gridare, non vede che è ridicolo, che fa ridere tutti?-Ha pure il coraggio di fare lo spiritoso!
-Se c’è qualcuno che fa ridere qua è proprio lei! O meglio che fa PIANGERE!-
A questo punto, lo ammetto, sono veramente fuori dalla graziadidio, quasi mi si strozza la voce in gola mentre rivolto alla strada, abbassando comunque il tono, apostrofo una signora che mi guarda attraverso il finestrino di un’auto, con atteggiamento di comprensione:
-Ha visto che roba! Mi sta multando per questo parcheggio! Non è una carognata?!-
Inopinatamente la signora abbassa il finestrino e mi grida:
Faccia ricorso! E’ abuso di potere!- Chissà forse è avvocato o è solo intelligente.
-Ha visto, ha visto che mi danno ragione!- Trionfante verso l’odiato nemico.
Per tutta risposta un sorriso bieco che testimonia la carognaggine insita nel DNA dell’individuo. Certamente è un tipo frustrato, magari perché si ostina a portare i capelli lunghi, che gli stanno malissimo e che a detta di suoi colleghi (lo appurerò in seguito)gli danno quell’aspetto da magnaccia. Forse ha problemi sessuali e quasi certamente soffrirà di emorroidi. Ma non ha la mia comprensione! Anzi, imbeccato dalla signora caritatevole mi scoppia nel cervello quell’espressione: Abuso di potere! Abuso di potere…ABUSO DI POTERE..
 -Ecco un tipico caso di ABUSO DI POTERE! – Comincio a martellare l’aria intorno con questa esclamazione. Sacrosanta verità, lampante per tutti, meno che per lui che sta ancora componendo il verbale, unica opera d’ingegno che gli sia concessa. Ad un tratto mi squilla il cellulare, un amico: -Ciao.. sì sono incazzatissimo c’è un bastardo disgraziato faccia di culo fetente cornuto che mi sta facendo la mul…-
-COME HA DETTO? L’ULTIMA PAROLA NON L’HO CAPITA BENE!   GUARDI CHE LEI STA RISCHIANDO MOLTO…- Ora è lui ad essere alterato
-A LEI NON DEVE IMPORTARE QUELLO CHE DICO. STO PARLANDO CON UN MIO AMICO!- Forse dovrei ripetergliele tutte, sottolineate, non solo l’ultima, ma decido di graziarlo.e mi limito a dirgli scandendo bene le parole:
-Siccome io di lei ho la peggiore opinione che un uomo possa avere di un suo simile, e poiché ancora c’è in questo paese la libertà di opinione, fin che dura, io sono libero di dire ad un mio amico attraverso il cellulare tutto quello che appunto penso di un elemento come lei-
Ricordo sempre con piacere la sua faccia finalmente espressiva. Allibita, e addirittura stravolta quando salendo in auto, piantandolo là con il suo inutile verbale gli rifilai il colpo di grazia, magra consolazione per un infausto incontro: -S’informi, se non lo sa CELLULAR NON PORTA PEGNO!-       








                                               






                                                                                       


Nessun commento:

Posta un commento