mercoledì 30 settembre 2020

Segue da "Miscellanea" (11)

 Sesto senso- Quel giorno che incontrai Luciano Bianciardi

 Quel giorno stavo malissimo. Avevo appena visto quella che credevo fosse la mia ragazza baciarsi appassionatamente nel buio di un androne, con un altro. A casa si era consumato l’ennesimo scazzo con mio padre, ogni giorno più freddo e taciturno, da quando eravamo rimasti soli a Milano, con il nostro rapporto sempre più difficile.

Mia madre e mio fratello se la sguazzavano in quel di S. Margherita Ligure, non senza scordarsi di farci quotidiane telefonate con la raccomandazione di andare d’accordo, per non farli stare “Troppo in pensiero!”.  
Io, dal canto mio, ero appena tornato dal servizio militare e avevo avuto la sorpresa di non trovare più la “mia Impresa”. O meglio l’Impresa Edile, dove ero impiegato, dove credevo di ritrovare il mio posto, date le sperticate assicurazioni in proposito del Mio Datore di Lavoro, (all’atto della partenza, con mille salamelecchi, per quel “dovere che mi faceva tanto onore”).
Semplicemente non c’era più. Aveva chiuso i battenti: La crisi. Figuriamoci la mia! Erano giorni ormai che rispondevo a tutte le inserzioni di possibili offerte di lavoro, ma più che colloqui, test cretini e “Bravo, bravo, le faremo sapere” non si concretizzava nulla.  
Solo il rimbrotto, sempre meno soft, di mio padre. A tutto questo bisogna aggiungere che quell’estate in città il caldo era soffocante.
Eppure, quel giorno, tra un tentativo e l’altro di trovare la cosa giusta da fare, dopo aver inutilmente cercato qualcuno degli amici più fidati, sempre più annoiato e abbuttato, come diceva un mio amico siculo, fu certamente una specie di sesto senso a guidarmi in via Manzoni dalle parti della Libreria Feltrinelli.
“Ma che ci entro a fare?“ mi stavo dicendo combattuto se varcare o no la soglia, “Visto che non ho una lira”, ed ecco che arriva una splendida fanciulla in minigonna mozzafiato, che si attarda un attimo prima di entrare, e incredibile!, Mi guarda e mi sorride. Un brivido lungo la schiena, “Che mi abbia scambiato per un altro?”, comunque non ci penso troppo e come in trance mi affretto a entrare sulla scia di quell’incredibile apparizione.
La libreria è piuttosto affollata, molti giovani fanno capannello in un angolo, mi avvicino, scorgo la mia “musa”, mi sforzo di fissarla per catturarne l’attenzione, ma quella non mi degna più di uno sguardo, “Sarà la solita femminista che si diverte a provocare” cerco di consolarmi, mentre il mio interesse cade sull’individuo, non giovanissimo, che sembra essere al centro della curiosità generale. Mi sembra un viso conosciuto, ma solo dopo molti sforzi di memoria e quando finalmente uno lo chiama Luciano, realizzo che si tratta di Luciano Bianciardi.
Ho appena letto “La vita agra” e l’ho trovato un libro eccezionale, superstimolante almeno quanto “On the road” di Kerouac. 
Resto, affascinato, ad ascoltare i dialoghi tra lo scrittore e alcuni giovani, i più arditi, che gli fanno un sacco di domande; anche la “bella” che ormai mi lascia indifferente, gli si rivolge, ma da come parla mi sembra una tremenda snob. “Non è tipo per me”, concludo.”Non è il caso di provarci.” (Autoscusa meschina e puerile!) Comunque l’attenzione è tutta per lo scrittore, mi affascina e m’intimidisce.
Naturalmente non riesco a vincere l’emozione per cercare di dirgli qualcosa, e quando tutto finisce, mi ritrovo per strada, ancora più incazzato e deluso. Non mi è riuscito d’attaccare discorso né con la femmina, né con lo scrittore. Sono proprio una frana! 
Tempo dopo, ormai ho dimenticato l’episodio, sono anch’io a S. Margherita, in vacanza, (ahimè, da un lungo periodo di vacanza) e mi capita sotto gli occhi un articolo di giornale che parla di Luciano Bianciardi, di qualche polemica con suoi editori, e vengo a sapere che si trova a Rapallo.
Da quel momento comincio a pensare all’incredibile opportunità che potrei avere, vista la vicinanza delle due località liguri, se solo riuscissi a trovare il coraggio. Così, arrovellandomi in spossanti tentennamenti, alla fine riesco a ottenere, tramite una Casa Editrice, il suo numero telefonico, e un giorno, chissàcome, trovo la forza di comporre quel numero. Mi risponde una voce femminile roca, sensuale, e a fatica riesco a chiedere di lui.  
Poi tutto si svolge, come in un sogno, in modo del tutto facile e lineare. Quando gli dico che vorrei conoscerlo e che sto a Santa, m’invita semplicemente a prendere un caffè insieme, al suo bar preferito. Caffè Biancaneve, sul lungomare di Rapallo. Mi aspetta seduto a un tavolino, grande emozione, blocco in gola, poi pian piano non ci sono più problemi. Mi chiede che cosa voglio da bere:   -Un caffè, grazie-  
-E’ sicuro, non vuole niente di più forte?- Con un sorriso beffardo, mentre fa l’ordinazione al cameriere, aggiungendo -A me ne porti un altro-.....

martedì 29 settembre 2020

Segue da "Miscellanea" (10)

 Ed ecco, infatti, puntuale come un orologio, l’uomo avanza nella stanza, aziona una specie di telecomando e mentre magicamente una musica si diffonde nell’aria, si avvicina al divano e con un profondo inchino, con il rischio di spezzarsi in due, si rivolge a uno di quei simulacri di donna con un filo di voce:

-Signora permette questo ballo?- e così dicendo afferra la dama prescelta, strappandola dal divano, e abbracciatala stretta si lancia in un ballo scatenato. Le note inconfondibili del Bolero di Ravel gli danno il tempo di quel ritmo ossessivo, sempre crescente, e lui felice, stretto alla sua silenziosa compagna, danza come invasato, senza curarsi dello stile, senza che nessuno possa criticarlo, fino al parossismo finale.Allora, lasciata cadere, abbandonandola al suo destino, la docile dama che si affloscia inanimata sul pavimento, esausto ma anche  appagato si getta su un’enorme poltrona, lasciandosi andare con le membra rilassate, gambe e braccia penzoloni.E’ un rito che si ripete sempre uguale, solo varia la “donna” che ogni volta può liberamente scegliere dal suo personale “harem”, senza il rischio che qualcuna possa opporgli un rifiuto. L’ebbrezza alcolica, il ballo sfrenato, la musica, tutto contribuisce a fargli raggiungere una specie d’orgasmo, sempre, puntualmente, ma ciò che da qualche tempo lo inquieta è la sensazione di sentirsi, ogni volta, sempre più eccitato e poi sempre più distrutto.Addirittura ultimamente ha cominciato ad avere difficoltà nell’addormentarsi, perché non appena chiude gli occhi, gli gira tutto intorno, come se si trovasse sopra un ottovolante.
Ad ogni modo, l’importante per lui è di arrivare al mattino seguente, quando il rito della sua vita si compie nell’atto finale, atteso sempre con angosciosa speranza: La misurazione. Ed ecco, si mette tutto nudo contro una parete bianca su cui spiccano vari segni, e con una strana lunga asta, avente un piano scorrevole che termina, dal lato contro il muro, con una specie di matita, (uno strumento di sua costruzione date le dimensioni) procede alla misurazione della propria statura.
Anche quella mattina nota con profonda soddisfazione che il punto attuale è un po’ più basso di quello del giorno precedente. Sulla parete, infatti, alcuni segni appaiono più in alto dell’ultimo, appena marcato, ciò sta a significare che aveva raggiunto un’altezza ben superiore a quella attuale.
“Bene” pensa compiaciuto, continuando a osservare l’ultimo segno, “Quel vinello è proprio miracoloso!” E con la mente ritorna a quel giorno di qualche mese prima, quando con terrore si era sorpreso a “crescere”.Già di suo era stato sempre alto, ma quando si accorse che per una misteriosa sindrome, forse dopo quella visita alla Centrale Nucleare, ogni giorno la sua altezza aumentava di quasi un centimetro, la sua vita finì per essere totalmente stravolta.Cominciò ad avere un sacco di problemi, (arrivò fino alla stratosferica altezza di 2 metri e trenta!) sia per quanto riguardava l’abbigliamento, sia per il lavoro e l’insensibilità dei colleghi; per  non parlare del campo affettivo: Le donne non ne volevano più sapere di lui, così aveva deciso di cambiare città.
Lontano dove nessuno l’avrebbe riconosciuto. Poi si era messo a fare ricerche per trovare un sistema, un antidoto che bloccasse la sua continua crescita. Aveva provato di tutto, studiato ogni possibile alchimia d’erboristeria avanzata, assurde pratiche da stregone, finché un giorno, per caso, si era accorto che quell’ottimo vino nero siciliano aveva il potere d’influire sul fenomeno.
Quel nettare proveniente da una terra che, pur non conoscendola, amava attraverso i racconti del padre, oltre a essere squisito produceva anche quel beneficio.
Dapprima in modo graduale, quindi aumentando progressivamente la dose giornaliera, il processo di crescita si era arrestato, per poi finalmente cominciare a regredire.
Ormai stava rientrando nei limiti accettabili dei 2 metri, niente di più di un “eccezionale giocatore di basket”, e avrebbe potuto cominciare a sentirsi soddisfatto, e un po’ più disponibile al mondo esterno, se non ci fosse stata, sempre più presente, quella molesta sensazione di vertigini.
A un tratto, folgorante come un’illuminazione, un pensiero attraversa la mente dell’uomo: “Già, ma se ogni volta che aumento la dose, come effetto collaterale mi sento sempre pìù brillo, non sarà che c’è il rischio che diventi un alcolizzato?”
Il dubbio comincia a perseguitare l’Uomo Alto.

lunedì 28 settembre 2020

Segue da "Miscellanea" (9)

 

L’Uomo Alto

 -Mamma, mamma, arriva!- E il ragazzino della salumeria all’angolo della strada lo vede entrare come tutte le sere, puntualmente un po’ prima della chiusura. Sempre grigio, sempre

serio e tanto alto. Da poco più di un mese ha fatto la sua apparizione nel quartiere e qualcuno ipotizza che sia un giocatore di pallacanestro. In realtà il fisico non appare un granché atletico: Piuttosto magro con il viso scavato e le spalle ossute che tendono il tessuto della camicia in maniera curiosa, disegnando un piano con le estremità rialzate e puntute, facendolo assomigliare a una sorta di gigantesca gruccia.
La gente, infatti, esclama: -Ecco che arriva l’attaccapanni!–oppure -Ecco l’Asceta!-
L’uomo, metodico all’esagerazione, entra nel negozio e ormai non ha neppure bisogno di aprire bocca, poiché da sempre compra le stesse cose, tutti lo sanno: Una forma tonda da mezzo chilo di pane, due etti di formaggio, brie o gorgonzola al mascarpone (l’unica digressione possibile, anche in relazione alla disponibilità del negoziante), un cartoccio di latte da mezzo litro e la solita bottiglia di vino rosso, sempre della stessa marca siciliana, in carattere con quella sua personalità quasi mistica.
Qualcuno commenta: -Però, una al giorno!…Una bella media! …E tutto da solo!-
E sul fatto che sia solo ci sono le più ampie garanzie della portiera dello stabile dove abita: -Mai nessuno che viene a cercarlo, mai visto qualcuno entrare da lui. Mai una donna. E’ proprio solo!-
Ed è proprio così, quando rientra nel suo appartamento, angusto, che sembra diventarlo ogni giorno di più, specialmente per quelle porte basse che lo costringono a una continua ginnastica di collo, l’uomo si ritrova sempre così maledettamente solo, se si eccettua per quel piccolo batuffolo grigio che gli corre incontro miagolando, per strusciarsi contro i suoi pantaloni, là in fondo alle sue lunghe gambe. -Sì, sì buono.. dopo…ecco…un momento-bofonchia dirigendosi in cucina, dove per prima cosa si dedica al vino:
Da un chiodo alla parete prende un grosso cavatappi, quindi procede a stappare la bottiglia, a riempire un capace bicchiere e a berne in rapidi sorsi tutto il contenuto.
Solo allora si china per raccogliere il gattino da terra e sorreggendolo con la mano sinistra, lo accarezza con l’altra. Mani grandi, il micetto quasi ci scompare mentre si abbandona a quella carezza delicata, e a volte accade che, improvvisamente, prese da un raptus incontenibile, quelle mani aumentino la stretta e il fru fru di piacere finisca col trasformarsi in un acuto miagolio di sofferenza.
Infine, subito scuotendosi come fosse stato in trance, si affretta a rimetterlo sul pavimento, poi quasi a voler farsi perdonare provvede a riempire la scodellina del micio, che non si fa certo pregare per gradire, e già dimentico dello scampato pericolo attacca a sorbire con il caratteristico fruscio il suo latte.
Continuamente, giorno dopo giorno, si ripete la stessa scena, tutto avviene come in un film visto con il videoregistratore. Quasi ogni sera quel povero micio passa dalle effusioni al rischio di morte. Subito dopo, ripresosi, l’uomo si siede al tavolo e consuma il suo pasto, sempre molto lentamente e innaffiandolo, come si suol dire, generosamente. Il vino è ottimo, certamente, ma il bere per lui non è solo una questione di piacere, e in ogni caso non può smettere fino a che non arrivi quel particolare momento, non tanto d’ebbrezza, quanto di saturazione.
A quel punto, allora, si alza, prende la bottiglia, nella quale comunque ne resta una certa quantità, e va a posizionarla sul ripiano di marmo di una vecchia credenza, dove ve ne sono allineate altre, della stessa marca, una accanto all’altra.
Sono tutte non completamente vuote, disposte in file parallele affiancate in ordine decrescente, secondo la quantità di liquido che ognuna contiene. Così, le ultime appaiono un poco più vuote delle precedenti. Ogni volta che accosta la nuova bottiglia e osserva che la quantità rimasta è sempre minore, il suo viso assume un’espressione via via più dubbiosa.
Poi però, come per scacciare un pensiero molesto, schiaffeggiando l’aria con una mano si scuote tutto, illuminandosi di un rapido sorriso, quindi si gira di scatto e si dirige nell’altra stanza. Un poco più ampia della cucina, questa presenta pochi mobili, ma una parete laterale è quasi interamente occupata da un immenso divano, affollato, apparentemente di…. persone.
A prima vista sembrano proprio tali quelle figure vestite con colori sgargianti, appoggiate alla spalliera, quasi afflosciate. In realtà, si tratta di manichini.
Manichini o bambole di gomma, in ogni caso figure di donna, di sembianze diverse. C’è la bionda con capelli lunghi e lisci; la bruna con caschetto alla Valentina; una rossa con boccoli e riccioloni alla Rita Hayworth; ce n’è una “grassa” con un grembiulone da massaia; un’altra ha un aspetto molto giovanile, da sbarbina, in minigonna mozzafiato; un’altra ancora con una scollatura vertiginosa mostra un bel seno florido.
In tutto, una decina di manichini “viventi”, fedelissimi nei particolari, che presentano un ricco campionario di caratteristiche femminili, anche se piuttosto da cliché, e che se ne stanno su quel divano come in attesa di qualcosa.