io la commemoro così: Invece, di un altro parente, il
cugino Gianni, "lo strano", ho un
ricordo composito, fatto di momenti di sorpresa divertita quando, sempre molto
esagitato e sopra le righe, se ne usciva con espressioni forti, cosiddette
sboccate, che dette da lui incredibilmente venivano accettate, anche dai miei,
con un mezzo sorriso un po’ stirato. Così le mie orecchie sentivano espressioni
tipo "quella gran troia, o quel rotto in culo" o anche "e così mi sono ridotto come un cesso di
quart’ordine", che lui sparava con una gran risata e con la voce chioccia,
quasi strillata, e che l’uditorio sopportava come conseguenza del suo essere
strano, cioè vagamente finocchio, come allora si diceva. Più vecchio di me di
una decina d’anni, era anche un gran melomane, appassionato di lirica, e con
una frequentazione degli ambienti del tempio
della musica, la Scala, e di conoscenze tra i cantanti, insomma godeva di
una particolare considerazione. Abitava a pochi passi da noi, con la sola
mamma, vedova da tempo, che faceva la sarta e che lo aveva avviato anche in
questa professione, oltre che a creare i presupposti della sua scelta sessuale,
come si sosteneva dai più esperti. Era facile perciò che ogni tanto capitasse
rumorosamente da noi per ragguagliarci sulle ultime novità dell’ambiente operistico milanese.
E fu in una di quelle volte che mi invitò (o magari mi affascinò) ad andare con lui a vedere qualche opera, di cui ricordo solo l’Aida, per via dell’elefante ad un tratto sul palco. In realtà l’esperienza non mi fu particolarmente gradita, e starmene lassù per un tempo lunghissimo, in alto nel loggione, dove c’erano quelli della claque, gli intenditori come mio cugino, senza capire nulla di quello che gridavano là sotto, interessandomi solo ai costumi e alle scene, non mi faceva gran piacere. E forse da lì è nata la mia profonda antipatia e insofferenza appena sento un gorgheggio lirico, mentre devo forse ringraziare il cugino strano, e il modo in cui veniva accettato, se mai ho provato moti di critica o peggio per gli omosessuali.
E fu in una di quelle volte che mi invitò (o magari mi affascinò) ad andare con lui a vedere qualche opera, di cui ricordo solo l’Aida, per via dell’elefante ad un tratto sul palco. In realtà l’esperienza non mi fu particolarmente gradita, e starmene lassù per un tempo lunghissimo, in alto nel loggione, dove c’erano quelli della claque, gli intenditori come mio cugino, senza capire nulla di quello che gridavano là sotto, interessandomi solo ai costumi e alle scene, non mi faceva gran piacere. E forse da lì è nata la mia profonda antipatia e insofferenza appena sento un gorgheggio lirico, mentre devo forse ringraziare il cugino strano, e il modo in cui veniva accettato, se mai ho provato moti di critica o peggio per gli omosessuali.
Da “Però, quante ne ho passate!”
Nessun commento:
Posta un commento