lunedì 5 ottobre 2020

Segue da "Miscellanea" (14)

 Accadde, infatti, che fra quei cani ne spuntasse uno, grosso e nero, che improvvisamente prese a corrermi incontro, abbaiando furiosamente. Spaventata come una bambina e temendo di essere aggredita scappai velocemente indietro verso il portone dal quale eravamo appena entrati.

Gridavo disperatamente, ormai già sicura di essere sbranata, quando, come un’apparizione, tra me e la bestia lanciata calò con forza una mano robusta che afferrandolo per il collo, riuscì a strattonare e fermare il cagnaccio, mentre una voce dura lo rimproverava chiamandolo per nome. Il cane si ritrasse mogio mogio, lontano da me, ma sempre fissandomi torvo ed io non osai fare un passo, finché una voce maschile, profonda, la stessa di prima ma più dolce, mi riscosse dal mio terrore.
-Su, su venga signorina…non le fa niente, Melchio è solo un po’ nervoso e quando vede un’estraneo fa tutti quei versi…ma non è cattivo. Non abbia paura-
Un tantino rincuorata mi mossi avanti seguendo l’uomo che mi aveva parlato.
-Mi ha salvato la vita lei!- dissi scherzando, ma non troppo. Per tutta risposta l’uomo si volse verso di me e mi sorrise, di un sorriso particolare che ebbe il potere di turbarmi. Poi, quasi parlando fra sé, ma a voce abbastanza alta perché potessi udire: -E sarìa sta un vero peccà- 
Lo disse in dialetto ma io capii ugualmente. Lo guardai meglio. Era di mezza età, d’aspetto robusto, indossava un paio di calzoncini corti e una canottiera blu non troppo pulita che metteva in risalto i muscoli del torace. Il corpo era ben fatto e abbronzato. Ma non riuscivo a vederlo bene in viso, perché portava un cappello scuro a larghe tese.
Quando entrammo nella casa, notai subito le pareti imbiancate a calce e il soffitto in travi di legno, come piacevano a me. Una vecchia, seduta su una poltrona con un’imbottitura rossa piuttosto malconcia, mi fissò subito con ostentata curiosità. A un grande tavolo di legno sedeva il grassone che mi aveva accompagnato, che con aria divertita buttò là qualche battuta circa la mia avventura con il cane e poi rivolgendosi al mio salvatore gli disse: -Ecco, Pierino, questa signorina vorrebbe vedere le case dell’autostrada, quelle della vecchia tenuta Rosini, da affittare-.
Lui allora si volse verso di me e m’invitò ad accomodarmi, poi si levò il cappello gettandolo con stile da cowboy su un divano e si sedette al tavolo, proprio di fronte, e iniziò a scrutarmi attentamente, abbassando con sfrontata sicurezza lo sguardo anche all’altezza della scollatura della mia camicetta che, pur non essendo particolarmente osè, in quel momento mi sembrò potesse essere del tutto trasparente.
La faccia che mi fissava aveva un che d’affascinante, mi ricordava addirittura Sean Connery, più vecchio e con le ciglia più folte. La mascella forte e ben disegnata, la bocca con un lieve sorriso accennato e quegli occhi scuri, profondi, ma con un’espressione ironica, tutto ricordava lo 007 dei momenti migliori, quelli più irresistibili.
Dovetti distogliere lo sguardo, perché mi sentivo terribilmente turbata e a disagio, e cominciai a pensare mentalmente in che genere di situazione mi stavo cacciando.
Poi lui rivolse l’attenzione verso l’altro e domandò: -Ti che te ghe dì?- Più o meno, la domanda aveva un che di minaccioso.
-Niente, niente...- S’affrettò a rispondere il grassone con atteggiamento timoroso e dimesso, come a volerlo rassicurare.
-Va bene, ora ci facciamo un bicchierino neh…di quello buono-
E così dicendo si alzò, prese da uno stipo una bottiglia e dei bicchieri, si risedette al tavolo, li riempì di un liquido rosso scuro e spingendone uno verso di me m’ìnvitò a bere con allegria.
-Un po’ di vino buono, le va? Questo è di nostra produzione, assaggi, el va giò che l’è un piacere!-
Io, che stavo ancora pensando a quello strano scambio di parole di poco prima, risposi con voce incerta, che denotava il mio incipiente grado di preoccupazione:
-Sì, sì il vino mi piace ma mi dica, cos’è che dovrei sapere?-
-Ma no, niente, non si preoccupi, si tratta solo di certe dicerie- cercò di rassicurarmi prontamente il padrone di casa, tornando a fissarmi con quegli occhi magnetici -Son solo storie, leggende…che a voi gente di città, intelligente e istruita, non fanno certo impressione. Non è vero signorina?- e accompagnò l’ultima frase con un largo sorriso complice.
Così, colpita nel mio orgoglio di cittadina evoluta non seppi rispondere altro che: -Ah, sì ne convengo, io non credo facilmente a leggende e cose simili- ma subito dopo, ormai la mia curiosità era stata attivata, non potei evitare di chiedere: -Ma di cosa si tratta esattamente?-
-Ma niente…sciocchezze inventate, poi gliene parlo- e così dicendo l’uomo che assomigliava tremendamente a un mio mito, si disinteressò della mia persona e rivolgendosi all’altro si mise a parlare fitto fitto in dialetto, per me incomprensibile. Io allora assaggiai il vino e poiché era effettivamente molto buono non ebbi difficoltà a vuotare il bicchiere, tutt’altro che piccolo.
Inutilmente cercavo di afferrare qualche scampolo di quel dialogo misterioso, finalmente smisero di parlare, e l’uomo di nome Pierino scostò rumorosamente la sedia e guardandomi col suo sorriso spavaldo si alzò agilmente in piedi dicendomi: -Buono vero! Ora se vuole possiamo andare a vedere le case…sono a sua completa disposizione- e incredibilmente, mentre mi si avvicinava ebbi l’impressione che mi strizzasse un occhio, con fare complice. Poi, si ricalcò in testa il suo cappello scuro, si avviò verso la porta e aspettò che lo raggiungessi. Mentre docilmente mi apprestai a seguirlo, avviandoci verso il fondo del cortile, dove si vedevano alcune auto parcheggiate, quasi con noncuranza azzardai: -Forse si tratta di qualche storia di fantasmi?- Non ebbi risposta. Mi guidò verso una vecchia giardinetta, millecento forse, di quelle con la carrozzeria in parte di legno, che sembrava in ottimo stato. Senza aprire bocca mi aprì la portiera a destra e m’invitò con un gesto a salire.
Mentre io obbedivo senza protestare, con un vago giramento di testa dovuto probabilmente al vino, lui fece il giro ed entrò al posto di guida, mise in moto e solo dopo che fummo usciti dal cortile, mentre percorrevamo una strada alberata, si decise a parlare.

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