giovedì 1 ottobre 2020

Segue da "Miscellanea" (12)

 Già dal primo scambio di battute mi tranquillizzo. Sa come mettermi a mio agio. Mi fa domande intelligenti, mi racconta dei fatti suoi, con semplicità, senza pudori. Mi parla con quell’accento toscano sanguigno del suo grande amore del momento.

Si chiama Maria, e ancora non lo sapevo, ma un giorno anche per me quel nome sarebbe stato molto caro. Poi si mette a raccontare aneddoti del suo rapporto con gli editori, spassosi arguti, e spesso taglienti. Sta passando un “Momentaccio per colpa di certe teste di cazzo che capiscono la metà di quello che servirebbe per essere considerati dei bischeri”.
Inutile dire che io mi bevevo ogni sua parola, estasiato e satollo d’ego per quell’incredibile sua disponibilità nei miei confronti. A un certo punto, dopo un lungo silenzio in cui si era concentrato solo sul bicchiere che aveva in mano, (ma sul tavolino ce n’erano altri vuoti che io notai distrattamente, e solo dopo avrei compreso il dramma che stava dietro a quei bicchieri), mi chiede quasi con noncuranza:
-E lei, che fa scrive qualcosa?- Al mio accenno d’assenso, un po’ imbarazzato, si sporge di più verso di me e mi domanda con un sorriso divertito: -E che cosa le piace scrivere?-
-Ma veramente, mi piace esprimermi con poesie, o perlomeno io le credo tali- cerco di avere un tono sicuro per nascondere una certa agitazione che mi stava prendendo.
-Ah, poesia, è una cosa complicata, difficile- raddrizzandosi e fissando lo sguardo verso il mare.- la poesia è per spiriti nobili, alti, non è per tutti-
-Ho iniziato anche dei racconti, ma mi sembra più complicato- improvvisamente rinfrancato, mi sento rispondere- con la narrativa mi sembra che sia più difficile riuscire a dare rapidamente l’idea vera di quello che uno vuole dire, si insomma il messaggio..-.
-Il messaggio ahinoi!- m’interrompe con enfasi- Che cos’è questa preoccupazione, che sei un prete!- ora il tono è molto acceso, quasi adirato, agita le braccia in aria, ma subito mi si rivolge con un sorriso: -Non ci faccia caso, io sono così… ma, è tutto un imbroglio, si deve scrivere quello che si vuole, che si sente agitarsi dentro le viscere, senza curarsi di quello che…gli altri se capiscono bene, altrimenti peggio per loro-
Poi guardandomi fisso negli occhi, per la prima volta, molto serio mi dice: -Non stia a preoccuparsi di quello che dice o pensa l’altra gente, scriva, scriva, sempre, tutto quello che le passa per la mente, quello che le garba di scrivere… il resto non conta-
-Sì certo, anch’io la penso così, però per avere riscontro, successo, bisogna che gli altri apprezzino quello che uno scrive, no?- Cerco di argomentare.
-Ah il successo, mi è venuta a noia questa parola –sempre serio ma riportando l’attenzione al suo bicchiere - mi creda, non significa nulla, importa solo quello che ci piace, che ci convince, l’importante è poter essere se stessi-
Ricorderò per sempre quelle sue parole. E’ stato per me un inimitabile maestro zen. Quello che mi aveva raccontato di sé e dei suoi crucci, e della sua filosofia di vita mi ha dato stimoli fondamentali per la mia passione, allora solo accennata, per la scrittura e la letteratura.
Parole che ogni tanto mi ritrovo a rispolverare per darmi una giustificazione, un’assoluzione consolatoria alla mia attività di scrittore senza successo.
Dopo quel primo incontro, ci siamo visti un’altra volta, ma molto di fretta, perché lui aveva un appuntamento. Mi disse che forse avrebbe avuto piacere, chissà, a leggere qualcosa di mio, così in risposta a una mia timida domanda, ma che non dipendeva solo da lui, ma anche dalla sua “carcassa…” l’aggettivo non lo ricordo, perché era una parola toscana che non capii, anche se ne compresi il senso, cioè del corpo malandato, ammalato.
Purtroppo non ce n’è stato più il tempo, e se n’è andato troppo presto. Ricordo che mentre mi saziavo delle sue parole, lui beveva, con la massima noncuranza e strafottenza, quel dolce veleno, che di lì a poco ci avrebbe privato del suo grande talento.

  

                              

 

 

 

 

 

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