martedì 6 ottobre 2020

Segue da "Miscellanea" (15)

Mi spiegò che lui era l’Amministratore di quelle proprietà, che erano appartenute a un’importante famiglia aristocratica della zona, mezzi nobili, i cui eredi dopo una serie di vicissitudini avevano deciso di affittare o vendere in parte.

-Anche per via della storiella dello Spirito Amoroso…- aggiunse dopo una breve esitazione, voltandosi a guardarmi con quel sorriso intrigante.
-Ah! Così si tratta di fantasmi, come supponevo. Beh, io non credo a queste baggianate!- mi sentii rispondere con una sicurezza del tutto fuori luogo.
-Appunto, ben lo dicevo io- sottolineò ammiccando con aria di sufficienza.
-Sì, ma così, tanto per pura curiosità, cosa si dice a proposito di questa storia?- insistetti, guardando con ostentata noncuranza la strada.
-Mah, pare che uno degli ultimi discendenti di nome Giacomo, verso la fine del secolo, ai primi del 900, si suicidò perché gli fu impedito di sposare una paesana che amava, quindi- con tono molto brioso- da allora è nata la leggenda che ogni donna, giovane o vecchia, che si trovava a passare da quelle parti veniva posseduta, ma senza accorgersene, appunto dallo Spirito Amoroso di Giacomo Rosini.
-Davvero! Curiosa questa storia!- esclamai un po’ troppo allegramente- ma che cosa intende dire con quel “senza accorgersene”… ammesso che la cosa possa avvenire, come farebbe una donna a non accorgersi di niente?- appena finito di pronunciare le ultime parole, mi resi improvvisamente conto che mi stavo trascinando da sola su un terreno imbarazzante, specialmente quando vidi il suo sguardo puntarsi deciso sulle mie gambe, poco coperte dalla minigonna. Mentre in modo meccanico la mia mano scattava per cercare di tirare, stupidamente, il tessuto più giù possibile, l’uomo spostò la sua attenzione al mio viso, che mi sentivo avvampare, replicando calmo:
-Eh! Certo sarebbe meglio accorgersene, non è vero? Sentirlo bene, non subirlo senza emozioni. Mah, comunque sono cose che dice la gente, così senza sostanza. Sono fole, forse di qualche donna vogliosa…magari s’inventarono tutto per nascondere qualche scappatella, e così poi la storia ha cominciato a girare ed è diventata grossa- concluse con un ghigno e una specie d’ammiccamento verso le mie gambe, per poi subito aggiungere, abbassando il tono della voce ma non abbastanza:“Ma se non voleva che gliele guardino, perché non si metteva una sottana più lunga?” e così dicendo tornò tranquillamente a concentrare l’attenzione sulla guida e a ignorarmi, come se fosse soddisfatto della ramanzina appena impartita.
In effetti, io proprio come una ragazzina rimproverata, colta sul fatto, mi sentivo in quel momento, e fui presa da un’acuta irritazione che cercai di sfogare con una dura occhiata verso l’uomo al mio fianco, che peraltro non mostrò di accorgersene.
Rimasi a lungo in silenzio, finché non trovai di meglio che chiedere con aria stizzita:
-Ma insomma dove stiamo andando? Manca ancora molto?-
-Non si arrabbi, siamo quasi arrivati, ecco laggiù dopo il ponte comincia la tenuta Rosini- Finalmente imboccammo una strada sterrata, fra delle alte siepi oltre le quali si vedevano alberi da frutto e più lontano filari di vigne, e qua e là sparse, varie casette basse, alcune con dei bei porticati in pietra. Proseguimmo fino a una casa più grande delle altre, di due o tre piani, con un alto portico, ricoperto da viti rampicanti, che correva su due lati, sul davanti dove c’era una scala con muretti laterali e sul fianco dove si poteva notare un grande pozzo, di quelli antichi con la catena cui era appeso un secchio di rame.
-Bellissimo!- Tutto ciò che vedevo mi aveva subito entusiasmato, facendomi schizzare fuori dall’auto, dimentica della precedente irritazione.
-Venga, venga, che prima ci facciamo un altro bicchierino e poi andiamo in giro- Mi stava dicendo Pierino mentre m’invitava a seguirlo attraverso una porta di fianco alla scala, che stava aprendo con una chiave enorme. Io, sorprendentemente di nuovo docile, lo seguii all’interno e mi trovai in un’ampia stanza, chiaramente una cucina, con al centro un tavolo scuro, forse di noce, e una serie di fornelli su un ripiano in muratura lungo una parete.
Notai pentole e suppellettili appese un po’ ovunque e pensai che quella sembrava più una casa abitata che una abbandonata. L’uomo, intanto, aveva aperto lo sportello di un armadio e presa una bottiglia scura, molto simile a quella da cui avevamo bevuto poco prima, riempì due bicchieri, sempre troppo grandi per le mie capacità di tenuta.
Così riflettevo, come già avevo fatto nella sua casa, ma come allora, non fui assolutamente in grado di oppormi e di sottrarmi all’ineluttabilità della circostanza. Lui mi porse un bicchiere e alzando il suo in segno di brindisi, con enfasi: -Con l’augurio che lei trovi quello che fa al caso suo, signorina!- lo vuotò tutto d’un fiato invitandomi con gli occhi a fare altrettanto. Insomma, dopotutto quel vino era veramente delizioso, così mi scolai anche quel secondo bicchierone, del tutto incosciente degli effetti che avrebbe potuto procurare, giacché ero anche a digiuno, ormai da parecchie ore.
-Benone, ora venga che cominciamo a vedere qualcosa- e aprendo una massiccia porta di legno, con la parte superiore a vetri colorati, m’invitò a seguirlo, ma restando fermo sulla soglia, così che quando io gli passai accanto, stringendomi il più possibile, mi sentii sfiorare il fianco da un contatto piuttosto deciso. Facendo finta di niente proseguii attendendo che mi raggiungesse. Ci trovammo in un’ampia stanza con il soffitto a cassettoni e le pareti ricoperte da una tappezzeria damascata, che affiorava qua e là, strappata e consunta in più punti, tra una quantità di mobili antichi.
Ce n’erano veramente molti, troppi per quell’ambiente pur spazioso e l’impressione era quasi di trovarsi in un negozio di antiquariato o all’esposizione di un’asta. Erano tutti piuttosto belli, interessanti e mi misi a osservarli con attenzione. C’erano credenze con ripiani di marmo, probabilmente pregiato, alcune con la parte superiore a sportelli dipinti o a vetri, altre con grandi cassetti muniti di maniglie di bronzo lavorate, e poi armadi a una o più ante di legno scolpito.
Stavo esaminando una consolle tutta istoriata con effigi dorate quando alle mie spalle risuonò la voce del mio accompagnatore, lontana, quasi ovattata:


 

 

 

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