La mia intervista
impossibile
Accadde qualche anno fa
che mi trovavo nella Capitale, per un breve periodo, ospite di amici.
Quel giorno, annoiato e
scazzato perché gli amici erano impegnati in qualche cosa che non
m’interessava, me ne ero uscito da solo e andavo passeggiando qua e là, senza
avere una vera meta precisa.
A un certo punto, in una
zona del centro cominciai a vedere frotte di persone che si dirigevano tutte
verso una direzione. Incuriosito, cominciai a seguirle, man mano la fiumana
s’ingrossava finché arrivammo davanti a una grande vetrina, con porta
spalancata dove la gente s’infilava. Era una grande famosa libreria, entrai
appresso alla marea.
A farla breve, mezzo
stordito, insieme con gli altri finii col trovarmi in una sala non troppo
grande, per contenere tutta quella folla che spingeva e si affannava per vedere
qualcosa sul fondo, dove si scorgevano grandi scaffali pieni di libri.
Sembravano tutti
eccitati e si spintonavano per guadagnare un po’ di spazio davanti. Alla fine,
dopo una gran faticata a forza di gomiti usati come speroni, riuscii ad
arrivare abbastanza vicino, o meglio, a distanza tale da vedere cosa succedeva
in fondo. Si trattava chiaramente
di una presentazione di qualcosa, di un libro, e ne fui certo appena potei scorgere
un personaggio seduto tra altri individui.
Era proprio lui! Il mio
scrittore preferito, insieme a Kerouac e Bukowski, avvolto in una nuvola di
fumo, tossicchiando ogni tanto, la voce roca strascicata che arrivava appena a
tratti, in mezzo al brusio generale.
Poi avvenne. Non ero più
nella libreria, ma per strada, seguendo d’appresso il mio mito, che appena si
fermò sul ciglio del marciapiede, in procinto di attraversare la strada, fu mia
preda. Lo presi per un braccio,
amichevolmente, ma con una certa fermezza, mentre gli
sibilavo:
-E ora caro Maestro, sei
mio, e non ti lascerò andare se prima non avrai soddisfatto tutta la mia
curiosità- e mentre mi guardava di sbieco con quel suo sguardo un po’ vacuo,
tra l’addormentato e l’annoiato –e ti assicuro che è tanta. Io sono un tuo
grande fan, ho letto quasi tutti i tuoi libri.
Si lasciò scappare un
sospiro e rassegnato disse: -Vabbene, vediamo che
c’è da fare.
-Bene, là più avanti c’è
un bar- e quasi trascinandomelo arrivammo al locale, entrammo e scelto un
tavolino un po’ appartato ci sedemmo, come due normali avventori.
-Dunque carissimo ...-
cominciai, ma subito m’interruppe con un
sorriso sforzato, guardandomi da sotto gli occhiali, come si guarda una bestia
rara.
-Non s’inizia mai una
frase con il Dunque, che è conclusivo.-
-Ah, vabbè, sì certo,
però io volevo appunto concludere, che ce l’avevo fatta a beccarti- replicai
con una certa sfrontatezza, che denotava il mio alto grado d’eccitazione.
-Allora, diciamo per
incominciare, che ti sto dando del tu, non per mancanza di rispetto, bensì per
profonda amicizia- quindi sfiorandogli con tenerezza la mano posata sul
ripiano, di fianco a un pacchetto di sigarette che già si era magicamente
materializzato -e poi siamo quasi coetanei.-
Allora parve improvvisamente
animarsi e guardandomi bene in faccia, con un leggero sorriso
-Ma, questo non mi sembra proprio, al mio confronto, sembri un picciutteddu.-
-Già! Tu che indichi
sempre l’età dei tuoi personaggi, quanti anni mi dai?-gli sparai in tono di
sfida.
-Se fosse per me te ne
darei tanti di galera!- poi sorridendo tra la tosse -Sto scherzando, ma l’età
te la dico alla fine di questaa camur…- senza concludere.
-Dunque, ora lo posso
dire- guardandolo ironico- bando alle chiacchiere, io devo farti molte domande
e..
Fui interrotto da una
graziosa fanciulla con un grembiulino azzurro che ci chiese che cosa
ordinavamo. Lui chiese un caffè, io un analcolico. Quando gli domandai se non
avesse preferito, che so, qualcosa di forte, un cicchetto, mi rispose piccato:
-Allora non lo sai che
non bevo più alcoolici?-
-Sì sì, lo so, da quel
primo maggio terribile, scusa lo stavo dimenticando- un po’ contrito, per la
prima gaffe che avevo già commesso, che rischiava di non disporlo nella
condizione più favorevole....
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