martedì 20 ottobre 2020

Segue da "Miscellanea" (24)

 Sempre più confuso ma anche emozionato, si sentiva come Dante che segue il suo Virgilio, muto, in paziente attesa della nuova sorprendente scoperta, Lino seguì la sua guida che nel frattempo si era staccata e lo precedeva manifestando una certa animazione. Si accorse che erano arrivati in una zona della città che non conosceva; imboccarono una stradina, forse privata, ai lati della quale si vedevano poche isolate villette, e si fermarono alfine davanti a una porta d’ingresso azzurra di una curiosa casetta. Di lato e sul retro s’intravedeva un giardinetto recintato con una staccionata di legno, anch’essa dipinta di azzurro, o di celeste? (aveva sempre avuto quel dubbio).
Appena dentro si rese conto che anche l’interno era particolare, fantastico, così come prima impressione; e mentre si accingeva a osservare con più attenzione, Beatrice gli si rivolse con uno di quei sorrisi micidiali:

-Io vado un attimo di là, scusami. Intanto tu accomodati, mettiti a tuo agio, io torno subito eh caro Lino-. E così dicendo gli diede un buffetto sulla guancia per poi sparire dietro una grande tenda a riquadri biancoazzurri, che copriva una parete.
Il giovane allora poté dedicarsi all’esplorazione di quanto gli stava intorno. Si trovava in una grande stanza, non proprio quadrata, sembrava più un trapezio, anzi si trattava di un poligono con cinque pareti, cioè un pentagono. Infatti, di fianco alla porta d’ingresso c’era la parete con la tenda oltre la quale era scomparsa la ragazza, subito appresso, obliqua, l’altra parete, piuttosto particolare. Era in realtà un muro grezzo, con intonaco grigio, scrostato qua e là, al centro del quale campeggiava una grande fotografia in bianco e nero di un uomo e una donna, visti da dietro, che si baciavano.
Molto bella, ma enigmatica nella sua solitudine su quella parete spoglia. Proseguendo nell’esplorazione, la parete successiva, quella di fronte alla porta d’ingresso appariva ancora più strana, perché sembrava addirittura che non ci fosse, meglio, non si vedeva in quanto lo sguardo si perdeva in mezzo a una cortina di tende trasparenti, specie di velari multicolori, sovrapposti. Erano colori pastello, tenui, sfumati che si fondevano mirabilmente in un gioco cromatico che dava una sensazione come di vuoto, di spazio, quasi di vertigine.
Lino a fatica distolse lo sguardo per continuare lo studio di quell’incredibile ambiente. La parete di lato, diritta e più lunga, a prima vista appariva abbastanza normale, anche se era dipinta a metà: una parte bianca, dove si apriva una finestra con le ante di legno, di colore azzurro, di quelle con un foro al centro a forma di cuore, e con tendine ovviamente rosa.
“Proprio come le casette delle favole” pensò divertito “Una vera casa di fata, della mia fata turchina!” L’altra metà della parete era rossa. Osservando meglio, più da vicino, si vedeva tutto intorno alla finestra un lungo filo rosso, che si avvolgeva su se stesso in una infinità di giri più o meno larghi e si dipanava con ampie volute interrotte da angoli acuti, da cui pendeva flaccido e molle lungo il muro, formando incredibili disegni, per poi continuare verso il fondo della parte rossa.
In certi tratti il filo si mimetizzava avendo lo stesso colore del muro, per cui non era facile capire immediatamente che in realtà partiva proprio da quel lato. Infatti alla sua base c’era un buco, come quello dei topini nei films di Walt Disney, da cui appunto usciva il filo rosso, che poi proseguiva lunghissimo formando quei ghirigori fino alla finestra.
“Sembra il filo di Arianna” si trovò ad ipotizzare, mentre alzando lo sguardo si accorse che l’illuminazione notevole della stanza era data da una varietà di lampadari di fogge diverse, sospesi il più in alto possibile vicino al soffitto; non tutti accesi, ma ognuno con il suo interruttore che pendeva a portata di mano. Ebbe l’impressione di trovarsi in uno di quei negozi dove vendono appunto oggetti per l’illuminazione.
“Certo che è originale sta ragazza” pensava con un misto di meraviglia e d’inquietudine. E già cominciava a chiedersi che fine avesse fatto l’inquilina di simile magione, quando la sua attenzione si soffermò sulla parete della porta d’ingresso, che aveva guardato di sfuggita e vide qualcosa che prima non aveva notato. Il muro intorno alla cornice dello stipite presentava una quantità di piccoli fori, tanti bucherelli come se fosse stato oggetto di una scarica di mitraglia, e vicino a ogni foro si leggeva a malapena un numerino.
Al giovane venne in mente quel gioco enigmistico in cui bisogna unire i puntini per vedere cosa apparirà. Stava per fare qualche supposizione quando si accorse che un po’ più in alto dello stipite della porta c’era una mensola azzurra e sopra vi stavano posati: Un cappello nero da uomo, due bicchieri lunghi, di quelli per lo champagne e una borsa di pelle scura, che sembrava pure da uomo. 
A questo punto Lino aveva appena ripreso a fare congetture, quando la tenda a scacchi si scostò e finalmente apparve lei, la fata turchina. Indossava un complicato abito a frange e pendagli dorati, con una lunghissima cerniera sul davanti. Ma ciò che colpì immediatamente il giovane, che la guardava con un’espressione allocchita, fu la trasparenza del vestito e di conseguenza le meraviglie di quel corpo messe in mostra.
Beatrice, con un largo sorriso cominciò ad avvicinarsi a Lino, che inspiegabilmente, forse per un riflesso automatico, prese ad arretrare. Poteva essere un gioco ma il cuore gli batteva forte, si sentiva in un bagno di sudore e la fronte sembrava diventata un forno.
Era con le spalle al muro, o meglio alla parete fantasma e mentre lei continuava ad avvicinarsi, sorridendo sorniona, spingendolo praticamente verso il fondo, lui si sentiva le gambe molli e arretrava continuamente finché non si trovò in mezzo alla cortina, avvolto da ogni parte da quelle tende leggere. D’un tratto urtò qualcosa di duro e mentre con le mani annaspava goffamente cercando un possibile appiglio, finì per cadere rovinosamente all’indietro. Ma non cadde sul pavimento, come aveva temuto, bensì su qualcosa di morbido, che poi realizzò trattarsi di una specie di letto.
Intanto Beatrice, che l’aveva incalzato d’appresso, era scoppiata in una fragorosa risata, la sua bella bocca mostrava una fila di denti bianchissimi, che lui si trovò, stupidamente, a paragonare a quelli di un personaggio dei cartoons che lo aveva sempre suggestionato.
Poi sempre più frastornato,abbattuto su quel letto, vide la ragazza sporgersi verso di lui, sempre più vicino, finché gli fu impossibile non fissare il suo sguardo acceso su quelle due macchioline scure tondeggianti, comunemente chiamate capezzoli....

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